Maurizio Acerbo è il successore di Paolo Ferrero alla guida di Rifondazione comunista. E vuole fare come in Catalogna: costruire un soggetto unitario e alternativo al Pd. Il Prc? «Rimaniamo la rete di militanti più diffusa e capillare del Paese»

«Da noi non cediamo lo scettro, piuttosto la bicicletta per pedalare in salita», sorride Maurizio Acerbo. Da pochi giorni è stato eletto segretario di Rifondazione comunista, in un clima pacifico e con un ampio consenso, e con una sinistra unitaria da costruire. È venuto a trovarci in redazione, di buonumore come sempre. Ha riattaccato il telefono appena arrivato dicendo al suo interlocutore: «Ti lascio, sono arrivato nell’unica rivista di sinistra in Italia». Gli abbiamo fatto molte domande, eccone alcune.
Dopo 9 anni e in un Paese che si è trasformato sotto gli occhi di tutti, che partito ti lascia Paolo Ferrero?
Un partito che ha resistito ad anni di oscuramento mediatico, che ha tenuto la linea decisa nel 2008, di alternativa al Partito democratico che stava per nascere, avendo intuito che la mutazione genetica era oramai definitiva. E che ha fatto una lunga traversata nel deserto. Quelli che sono rimasti sono dei veri resistenti.
Ma è un partito che è rimasto fuori dal Parlamento e da molte amministrazioni locali.
Sì, ma sappi che, nonostante le nostre scelte ci abbiano portato a perdere la rappresentanza, rimaniamo la rete di militanti più diffusa e capillare del Paese.
Oscurati dai media, dici. Ma l’impressione è che anche all’interno della sinistra abbiate sofferto un certo isolamento. Mette imbarazzo la falce e martello?
Sicuramente c’è un’idea diffusa, anche tra le persone che la pensano come noi sui temi concreti, che la parola “comunista” sia impronunciabile. Ma il problema vero è stato soprattutto una forte tendenza a rifiutare la centralità del sociale. Penso, però, che questa fase sia ormai superata, adesso c’è la consapevolezza che le difficoltà della sinistra politica sono le stesse della politica sociale. Se davanti a un appuntamento come il vertice Ue del 25 marzo non si riesce a portare più di qualche migliaia di persone in piazza il problema non può essere solo che la sinistra radicale è fuori dal Parlamento. Quindici anni fa saremmo stati in 100 o 200mila.

L’intervista a Maurizio Acerbo su Left in edicola

 

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