È una notizia terribile quanto prevedibile: in Libia e in Niger c’è un mercato degli schiavi. I migranti e profughi che cercano di attraversare il Sahara in quella parte di Africa vengono soggetti alle torture e ai soprusi peggiori. A segnalarcelo è l’IOM, l’organizzazione mondiale per le migrazioni, che in Libia fa un lavoro serio e difficile e, grazie al suo status istituzionale, è impegnata in aree dove difficilmente altre organizzazioni internazionali arrivano. Nelle zone di confine al Sud, appunto. Prima di valutare cosa queste notizie comportino, raccontiamo una storia.
Adam (nome di fantasia) è stato rapito insieme ad altri 25 gambiani durante il viaggio tra Sabha a Tripoli, portato in una ‘prigione’ in cui erano detenuti circa 200 uomini e alcune donne provenienti da diversi Paesi africani. Adam ha raccontato che i prigionieri sono stati picchiati ogni giorno e costretti a chiamare le loro famiglie per chiedere loro di pagare un riscatto per la loro liberazione. Al padre di sono serviti nove mesi e ha venduto la casa per raccogliere abbastanza soldi.
I rapitori lo hanno portato a Tripoli dove è stato rilasciato. Lì, un libico lo ha raccolto e lo ha portato in ospedale. Pesava 35 chili. Il personale dell’ospedale ha pubblicato un post su Facebook chiedendo assistenza. Un funzionario IOM ha visto il post e avviato una procedura. Adam ha trascorso 3 settimane in ospedale per guarire dalle ferite. Poi, grazie all’IOM è stato rimpatriato. Questo aspetto va segnalato: in Libia l’IOM fa un lavoro di rimpatrio, aiuta le persone a tornarsene a casa, fa un lavoro nelle comunità di provenienza per raccontare cosa succede a chi cerca di attraversare il deserto. Insomma, c’è un lavoro di “propaganda” e di sostegno ai migranti. Eppure dal Gambia, che ha appena attraversato una pesante crisi politica, si parte. Così come da alcune aree della Nigeria o da Eritrea ed Etiopia – per non dire delle aree colpite da carestia.
L’organizzazione parla di veri e propri mercati nei quali i migranti vengono comprati e venduti come schiavi. Alle donne toccano gli abusi sessuali, ai maschi il lavoro di fatica o vicende simili a quelle di Adam, per le quali si viene tenuti in ostaggio, picchiati, denutriti, fino a quando la famiglia non paga un riscatto. Spesso ci sono diversi passaggi da un padrone all’altro e il riscatto aumenta di valore.
Bel quadro no? Questa notizia è di ieri e campeggiava, già nel pomeriggio su molti siti di grandi testate internazionali. Stamane abbiamo fatto fatica a trovarla (cercandola con parola chiave Libia) su diversi grandi siti di informazione italiani. Singolare, visto che la Libia è un po’ il cortile di casa.
E singolare visto che una delle politiche cruciali scelte per porre fine all’emergenza migranti da parte di Italia ed Europa, è l’accordo con il governo libico – bloccato da un tribunale di Tripoli, per quel che vale – per bloccare i flussi in partenza dalle coste del Paese attraversato da una guerra civile. L’Italia sta lavorando anche per tessere relazioni con il generale Haftar, signore della guerra e amico di Mosca che governa la Cirenaica. Nei giorni scorsi una missione italiana lo ha incontrato e due aerei hanno riportato suoi soldati feriti a curarsi in Italia. Segnali di distensione, chissà se mediati da Mosca, dove il ministro degli Esteri Alfano è stato nei giorni scorsi e, certamente, ha parlato di Libia.
Ora, la partita libica è complicata, lavorare a una Libia unita e stabile è l’obiettivo italiano e un lavoro viene fatto. Collegare questa partita al destino dei migranti è però sbagliato. Le rivelazioni dell’IOM, le stragi in mare, ci dicono come e quanto sia complicato gestire i flussi e come gli accordi con un Paese in guerra e senza istituzioni – e dove i diritti umani sono uno scherzo – sia un’illusione. O meglio, una scelta politica sbagliata per cercare di togliersi un problema di torno. Peccato che il problema non venga risolto e che, nel frattempo, le politiche cercate dal ministro degli Interni Minniti – che volò in missione a Tripoli pochi giorni dopo la sua nomina – contribuiscano a distruggere la vita di persone come Adam, il giovane del Gambia di cui l’OIM racconta la storia.