Dopo Gipi e Zerocalcare, un fumetto potrebbe finire tra i candidati del Premio Strega. Si tratta di “Orientalia. Mille e una notte a Venezia”, di Alberto Toso Fei e Marco Tagliapietra, edita da Round Robin. La video-recensione di Ottavia Piccolo e la nostra intervista allo scrittore Toso Fei

Dopo Gipi e Zerocalcare, ancora una volta un fumetto è tra i candidati al Premio Strega. Per ora è uno dei 27 da cui giovedì 20 aprile usciranno le 12 opere “semi-finaliste”, dopo di che sarà proclamata la cinquina che va in finale e poi l’opera vincitrice il 6 luglio. Si tratta di “Orientalia. Mille e una notte a Venezia”, graphic novel dello scrittore Alberto Toso Fei e del disegnatore Marco Tagliapietra, edita da Round Robin editrice. Un affresco quasi cinematografico della Venezia turchesca narrata attraverso il racconto di Saddo Drisdi, l’ultimo turco rimasto nella Serenissima, che gli austriaci hanno allontanato dal Fondaco dei Turchi nel 1838. A entrare con lui, tra mito e storia, in un mondo di principesse e corsari, sultane e dogi, santi e guerrieri, sono sette bambini che insieme al lettore vengono così trasferiti attorno al Fondaco, luogo che per due secoli ospitò i nemici e alleati commerciali turchi, e ai personaggi di una Venezia di cui oggi restano poche tracce.

Tutte storie vere o appartenenti all’immaginario della città della Laguna, sceneggiate e disegnate (a colori, producendo un rilevante impatto visivo) con estremo rigore filologico: dalle vicende della Turchetta Selima, rapita dai veneziani e costretta alla conversione, al rapimento di Cecilia Venier Baffo, bimba destinata a diventare favorita di Selim II e poi sultana madre, fino alla leggenda del trafugamento delle spoglie di San Marco da Alessandra d’Egitto o alla vicenda del “corsaro eremita” Paolo da Campo.

A presentare la candidatura della graphic novel Orientalia per il Premio Strega sono stati gli “Amici della Domenica”, l’artista Mimmo Paladino e lo scrittore Roberto Ippolito. Ma anche l’attrice Ottavia Piccolo, nel video che segue, spiega che avrebbe voluto farlo – e poi è stata battute sul tempo – sia per il valore artistico dell’opera sia per il messaggio «di amicizia tra i popoli» che si trae dalle tavole disegnate da Marco Tagliapietra, già autore peraltro di un fumetto dal titolo “La peste a Venezia”, e “scritte” dal veneziano Alberto Toso Fei, scrittore ed esperto di storia della città lagunare e recupero della tradizione orale.

La ricerca iconografica, evidentemente, è stata lunga e impegnativa, e come spiega il disegnatore Marco Tagliapietra l’opera è un continuo omaggio ai «profondi intrecci e reciproci debiti, tra la cultura veneta e quella orientale, il motivo principe di tutto il libro concepito da Toso Fei». A quest’ultimo, che ci conferma di essere un buon lettore di fumetti, abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio le ragioni di fondo dell’opera, le sue origini e il rapporto con la Venezia di oggi.

Alberto Toso Fei, com’è nata l’idea di un racconto a fumetti?
C’era una serie di storie potenti che aspettavano di essere solamente narrate, perché Venezia ahimè ha bisogno di recuperare molto rapidamente la sua memoria. Ma queste storie avevano bisogno di una forma di racconto non convenzionale, che andasse oltre la sola parola. È stato decisivo l’incontro con Marco Tagliapietra, che ha al suo attivo altre graphic novel molto belle, con un tratto molto personale e soprattutto una profonda conoscenza della città.

La ricostruzione filologica, così come la conoscenza approfondita della storia di Venezia, è pienamente nelle sue corde. Ma con quale obiettivo l’ha messa in campo in questo caso? Cosa cambia facendolo per un fumetto?
La novità è stata nel volermi e dovermi affidare a una persona che in qualche modo interpretasse i miei scritti. Questo forse è il dato interessante di questo romanzo a fumetti, anche in relazione alla candidatura allo Strega: nasce prima come lavoro di scittura intesa solo come tale, e poi diventa disegno e illustrazione. Questa seconda fase è stata affidata a Marco, nella scelta ad esempio delle inquadrature, anche se abbiamo lavorato a stretto contatto.

Come avete proceduto invece nel racconto dei luoghi e nelle ambientazioni?
C’è stata una ricerca molto impegnativa, condotta assieme ma ci ha lavorato moltissimo Marco. La cosa meravigliosa è che tutta la Venezia che noi vediamo attraversata nei secoli è ogni volta filologica. I luoghi sono dettati dalle storie. Dagli abiti al linguaggio alle diverse località, tutto è rigorosamente reale, anche nel loro essere fantastiche. Anche l’apparato leggendario è comunque filologicamente fedele alla tradizione veneziana.

Il vostro è un tributo solo alla Venezia di un tempo o ha qualcosa da dire anche a quella di oggi?
Se c’è un messaggio è per Venezia e non solo per Venezia, oserei dire. Nel momento della narrazione, il 1838, Venezia soffre un’occupazone straniera. Oggi in un certo senso subiamo un altro genere di occupazione, che è quotidiana, soverchiante e sta mutando profondamente la morfologia sociale della città, segnandone il futuro. Vedo un parallelo tra la situazione di allora e la situazione di oggi. Ciò che accade attualmente è l’esito di trent’anni almeno di governo approssimativo della città.

L’alleanza commerciale e la rivalità con i turchi, ci raccontano qualcosa anche di quello che accade oggi tra Occidente e Oriente?
Anche nei periodi peggiori, anche mentre si combatteva a Lepanto, mai veniva meno il dialogo e la reciproca presenza a Venezia e a Costantinopoli. Non è che si fosse dei benefattori, sia chiaro. Venezia aveva bisogno dei turchi perché erano una controparte commericale determinante e fortissima. Detto questo, nel momento in cui tu salvaguardi lo scambio di merci, con le merci fai circolare le persone e con le persone fai circolare i saperi, le idee, i cibi, le lingue, le culture… Metti in moto un meccanismo che ti cambia e al quale poi non puoi sottrarti. Non a caso ancora oggi in città tanto, dal cibo alle parole che usiamo a un sacco di altre consuetudini, arriva da questi scambi che avvennero con i turchi come con gli ebrei, con gli armeni e così via.

Rispetto ai suoi consueti lettori, che pubblico si aspetta per questo nuovo lavoro?
Sicuramente gli amanti delle graphic novel, che vado a incontrare per la prima volta. Poi mi auguro che aumenterà la platea di lettori amanti di Venezia e di una certa Venezia, che già sono moltissimi. E forse, per i temi che tratta “Orientalia”, tutto un gruppo di persone che si preoccupano un po’ di dove sta andando il mondo. Senza chissà quale pretesa di cambiarlo però: questo rimane pur sempre un romanzo a fumetti (sorride). Però qualcosa da dire ce l’ha e ha come alleata Venezia, che non è poca cosa.

Prima di questo fumetto ci sono stati Gipi e Zerocalcare nella vostra condizione. Quali sono gli elementi che a suo avviso hanno determinato la candidatura tra i 27 dello Strega?
Gipi e Zerocalcare sono dei grandi! Nel nostro caso il merito maggiore ce l’hanno le storie, perché hanno una potenza straordinaria e inaspettata. E vederle svolgersi pagina dopo pagina come uno storyboard da cui potrebbe paradossalmente nascere un romanzo, o addirittura un racconto cinematografico come ha detto Mimmo Paladino nel presentare la candidatura, mi conforta nella bontà della scelta di non fermarmi alle parole, di aver voluto fortemente un racconto per immagini. Il fascino del libro secondo me è che tavola dopo tavola si può andare sempre più in profondità, scoprendo più livelli di lettura, dettagli sempre nuovi e spesso strabilianti.

Sono giornalista da oltre vent'anni ma sempre “aspirante”. Dal 2015 a Left, dopo Nuova Ecologia e tanto altro. Di cosa mi occupo? Diciamo che mi piace cercare il futuro possibile nei meandri del presente. Per farlo c'è molto da scavare, spesso indossando la mascherina.