Cosa sta succedendo nella Casa Bianca di Donald Trump? Mettiamo da parte per un secondo la madre di tutte le bombe, la GBU-43/B, sganciata sul covo Isis in Afghanistan, che fortunatamente non sembra aver fatto vittime civili, o la strage di ribelli siriani commessa per errore. In questi giorni ci sono stati incontri del massimo livello tra Mosca, Pechino e Washington nei quali si è parlato di Siria, relazioni bilaterali, Corea del Nord e commercio internazionale. Dopo aver dato dei manipolatori di valuta ai cinesi, Trump ha detto di non ritenere che Pechino adotti politiche per abbassare il costo dello yuan e, così, il costo delle merci cinesi da esportare. Il presidente Usa ha anche detto che sulla Corea, Pechino saprà intervenire - e in effetti Pechino dovrebbe farlo se vuole davvero mostrare di essere un leader in Asia. Un incontro insomma, nel quale il presidente Usa ha fatto due passi indietro e mostrato una faccia sensata. Strano per uno che ha scelto come capo stratega una figura come Steve Bannon che ritiene che tra Cina e Stati Uniti una guerra sia inevitabile. A Mosca è andata meno bene, ma non malissimo. Tra Russia e Stati Uniti il clima resta mediocre ma le due potenze sembrano aver intenzione di lavorare di più per mettere mano alla crisi siriana senza peggiorare ulteriormente una situazione caotica e tragica. «Due potenze nucleari non possono avere rapporti così» ha detto il ministro degli Esteri Lavrov. Non ci siamo ancora, Mosca non vuole mollare Assad e Washington vuole non rimanere umiliata. Ma, in fondo, c'è una volontà più marcata di quanto non ci fosse con Obama. A Mosca non volevano Clinton presidente e hanno ottenuto quel che cercavano. Nel frattempo però, la Nato (il presidente Usa si è visto anche con il segretario generale Stoltenberg) ha smesso di essere un'alleanza superata. Altro concetto espresso in campagna elettorale e anche una volta assunta la presidenza. L’intensificarsi dei bombardamenti Usa e l’attacco successivo all’uso di armi chimiche da parte di Assad sono in questo senso un segnale a Putin. Un segnale di quelli da grande potenza impegnata in una specie di guerra fredda: muscolare ma non necessariamente foriero di escalation. Il momento in cui cade la bomba Sulla Cina, sulla Nato, sulla Russia e sulla Siria, Trump fa dunque diversi passi indietro e di lato. Nel caso siriano, si impegna in qualche forma a lavorare a una soluzione diplomatica, si invischia di più in un Paese dal quale aveva promesso di stare alla larga. Spara addirittura contro il dittatore la cui uscita di scena non è una priorità per lui - anche se la sua ambasciatrice americana all’Onu, in palese rotta di collisione con una parte dell’entourage del presidente, sostiene il contrario e litiga con Mosca. Torniamo alla domanda iniziale, cosa sta succedendo? Banalmente che le promesse elettorali su commercio e politica estera fatte da Trump non reggono alla prova dei fatti. E che nell’entourage del presidente è in corso una guerra furibonda tra i realisti, tutt’altro che moderati, ma non paranoici, e l’ala dura e messianica. Il primo gruppo ha alla testa il genero di Trump, Jared Kushner, il secondo lo stratega Steve Bannon. Questa settimana pare stiano vincendo i realisti: toni più pacati, negoziati, scelte fatte guardando al contesto e alle conseguenze. Bannon è anche stato escluso dal Consiglio per la sicurezza nazionale. Problema: Trump ha vinto perché ha promesso cose che non stanno in piedi o che cambiano radicalmente il modo di governare e il ruolo americano nel mondo - e usato i toni suggeritigli da Bannon. Che ha anche fatto molto per costruire una base militante che è la colonna portante del sostegno al presidente. Dire addio a quelle idee e politiche senza sostituirle potrebbe essere un danno grave per Trump. E qui torniamo alle bombe dopo aver dato un'occhiata al tweet del suo avvocato qui sopra: Trump usa la bomba per mantenere l'America sicura e viene elogiato da tutti. Appunto. dopo settimane di passi indietro, la sconfitta sulla riforma sanitaria Obama, gaffe, promesse non mantenute, il presidente aveva bisogno di mostrare qualcosa al proprio pubblico. Due gesti simbolici come i missili Tomawhak su Assad e la madre di tutte le bombe in Afghanistan sono modi per attirare l’attenzione, sviare il discorso, far dimenticare che la presidenza sta mettendo da parte molte delle proprie promesse elettorali. E funziona: in fondo oggi siamo tutti qui a commentare - negativamente - l’attitudine guerrafondaia di Trump. E così dimentichiamo le inchieste sui legami con la Russia, gli insuccessi dal punto di vista dei risultati prodotti, il caos che regna nell’amministrazione. Con quelle bombe, insomma, Trump ha ottenuto il risultato voluto. E basterebbe guardare Fox News che non parla d'altro che non del bombone e manda e rimanda le immagini che vedete qui sopra, con commenti al limite dell'imbarazzante. Quanto alla Siria o all’Afghanistan, nessuno sa cosa il presidente intenda fare. Nemmeno lui.

Cosa sta succedendo nella Casa Bianca di Donald Trump? Mettiamo da parte per un secondo la madre di tutte le bombe, la GBU-43/B, sganciata sul covo Isis in Afghanistan, che fortunatamente non sembra aver fatto vittime civili, o la strage di ribelli siriani commessa per errore.

In questi giorni ci sono stati incontri del massimo livello tra Mosca, Pechino e Washington nei quali si è parlato di Siria, relazioni bilaterali, Corea del Nord e commercio internazionale.

Dopo aver dato dei manipolatori di valuta ai cinesi, Trump ha detto di non ritenere che Pechino adotti politiche per abbassare il costo dello yuan e, così, il costo delle merci cinesi da esportare. Il presidente Usa ha anche detto che sulla Corea, Pechino saprà intervenire – e in effetti Pechino dovrebbe farlo se vuole davvero mostrare di essere un leader in Asia. Un incontro insomma, nel quale il presidente Usa ha fatto due passi indietro e mostrato una faccia sensata. Strano per uno che ha scelto come capo stratega una figura come Steve Bannon che ritiene che tra Cina e Stati Uniti una guerra sia inevitabile.

A Mosca è andata meno bene, ma non malissimo. Tra Russia e Stati Uniti il clima resta mediocre ma le due potenze sembrano aver intenzione di lavorare di più per mettere mano alla crisi siriana senza peggiorare ulteriormente una situazione caotica e tragica. «Due potenze nucleari non possono avere rapporti così» ha detto il ministro degli Esteri Lavrov. Non ci siamo ancora, Mosca non vuole mollare Assad e Washington vuole non rimanere umiliata. Ma, in fondo, c’è una volontà più marcata di quanto non ci fosse con Obama. A Mosca non volevano Clinton presidente e hanno ottenuto quel che cercavano. Nel frattempo però, la Nato (il presidente Usa si è visto anche con il segretario generale Stoltenberg) ha smesso di essere un’alleanza superata. Altro concetto espresso in campagna elettorale e anche una volta assunta la presidenza.

L’intensificarsi dei bombardamenti Usa e l’attacco successivo all’uso di armi chimiche da parte di Assad sono in questo senso un segnale a Putin. Un segnale di quelli da grande potenza impegnata in una specie di guerra fredda: muscolare ma non necessariamente foriero di escalation.

Il momento in cui cade la bomba

Sulla Cina, sulla Nato, sulla Russia e sulla Siria, Trump fa dunque diversi passi indietro e di lato. Nel caso siriano, si impegna in qualche forma a lavorare a una soluzione diplomatica, si invischia di più in un Paese dal quale aveva promesso di stare alla larga. Spara addirittura contro il dittatore la cui uscita di scena non è una priorità per lui – anche se la sua ambasciatrice americana all’Onu, in palese rotta di collisione con una parte dell’entourage del presidente, sostiene il contrario e litiga con Mosca.

Torniamo alla domanda iniziale, cosa sta succedendo?
Banalmente che le promesse elettorali su commercio e politica estera fatte da Trump non reggono alla prova dei fatti. E che nell’entourage del presidente è in corso una guerra furibonda tra i realisti, tutt’altro che moderati, ma non paranoici, e l’ala dura e messianica. Il primo gruppo ha alla testa il genero di Trump, Jared Kushner, il secondo lo stratega Steve Bannon. Questa settimana pare stiano vincendo i realisti: toni più pacati, negoziati, scelte fatte guardando al contesto e alle conseguenze. Bannon è anche stato escluso dal Consiglio per la sicurezza nazionale.

Problema: Trump ha vinto perché ha promesso cose che non stanno in piedi o che cambiano radicalmente il modo di governare e il ruolo americano nel mondo – e usato i toni suggeritigli da Bannon. Che ha anche fatto molto per costruire una base militante che è la colonna portante del sostegno al presidente. Dire addio a quelle idee e politiche senza sostituirle potrebbe essere un danno grave per Trump.

E qui torniamo alle bombe dopo aver dato un’occhiata al tweet del suo avvocato qui sopra: Trump usa la bomba per mantenere l’America sicura e viene elogiato da tutti. Appunto. dopo settimane di passi indietro, la sconfitta sulla riforma sanitaria Obama, gaffe, promesse non mantenute, il presidente aveva bisogno di mostrare qualcosa al proprio pubblico. Due gesti simbolici come i missili Tomawhak su Assad e la madre di tutte le bombe in Afghanistan sono modi per attirare l’attenzione, sviare il discorso, far dimenticare che la presidenza sta mettendo da parte molte delle proprie promesse elettorali. E funziona: in fondo oggi siamo tutti qui a commentare – negativamente – l’attitudine guerrafondaia di Trump. E così dimentichiamo le inchieste sui legami con la Russia, gli insuccessi dal punto di vista dei risultati prodotti, il caos che regna nell’amministrazione. Con quelle bombe, insomma, Trump ha ottenuto il risultato voluto. E basterebbe guardare Fox News che non parla d’altro che non del bombone e manda e rimanda le immagini che vedete qui sopra, con commenti al limite dell’imbarazzante. Quanto alla Siria o all’Afghanistan, nessuno sa cosa il presidente intenda fare. Nemmeno lui.