Nasce a Barcellona Un país en comú, con la Alcaldessa Ada Colau, che unisce le anime di verdi e comunisti. Ma soprattutto dei cittadini. «È così che si pratica il cambiamento. Con politiche di coesione sociale», ci dice il numero due, l’ecosocialista Ernest Urtasun

«Ci sono persone che se le rappresenti votano». Sembra tutto così semplice quando lo dice Ada Colau che non a caso è sindaca della sua città, Barcellona. La città rifugio che scende in piazza per difendere i diritti dei migranti, la città che cresce – anche economicamente – in un Paese governato con l’austerity di Rajoy. E mentre in Italia si fa un gran parlare di “come costruire un soggetto unitario della sinistra”, val la pena stare attenti a cosa succede in Catalogna dove lo hanno appena fatto. Loro lo chiamano «processo partecipativo per costruire un nuovo e unitario spazio politico e sociale della sinistra». E precisano – le parole sono ancora di Colau – che è e deve essere «uno spazio in cui nessuno deve rinunciare alla propria identità e che permetta ai partiti del 3% di costruire l’egemonia, e di fare fronte al ritorno dell’estrema destra in Europa». Sabato 8 aprile, al padiglione di Vall d’Hebron di Barcelona, si è tenuta l’Assemblea Fundacional di “Un país en comú”, il partito unito della sinistra catalana, che ha eletto come suo leader il deputato al Congresso spagnolo Xavier Domènech.

Oltre la coalizione

«¡Unidad! ¡unidad». Come a Vistalegre lo scorso febbraio, anche a Barcellona è questo il refrain. Più che sulle identità di ognuno – e più che a spaccare il capello in quattro – qui si sono concentrati sugli obiettivi comuni: un nuovo modello economico ed ecologico fondato sul bene comune, un modello di benessere per una società giusta ed egualitaria, un Paese fraterno in tutti i suoi ambiti, una rivoluzione democratica e femminista, un Paese inclusivo in cui tutti trovino il loro posto, un progetto di Paese che parta da tutti i territori. Queste le cinque chiavi che aprono la porta al progetto unitario. «Siamo una forza inarrestabile e non cadremo nella trappola dei poveri contro i poveri», ha detto Colau. Del resto il partito nasce a sua immagine e somiglianza, e così ha convinto i movimenti sociali nati con la crisi economica a unirsi ai partiti. Una sorta di “cessione di sovranità” in un nuovo soggetto politico, dagli ambientalisti di Iniciativa per Catalunya Verds ai comunisti di Esquerra Unida i Alternativa, fino a – ovviamente – En Comú Podem, Barcelona en Comú, Podemos e gli indipendenti. Ma come si fa a mettere tutti insieme? Lo abbiamo chiesto a Ernest Urtasun, ecosocialista ed eurodeputatato catalano molto popolare nella sua terra, il secondo più votato all’assemblea di sabato scorso. «Abbiamo molto discusso come fare l’unità, eravamo di fronte a due modelli: un processo di coalizione, e cioè creare una struttura condivisa mantenendo le militanze separate e dunque componendo gli organi comuni in base alle quote di ogni partito o movimento. Questo modello non ci è sembrato ambizioso, perché semplicemente gestionale, perciò lo abbiamo superato per creare un nuovo partito». Un nuovo partito in cui il demos sono i militanti, di qualunque formazione o partito e, soprattutto, di nessuna organizzazione: «Il modello della coalizione non allarga, perché semplicemente somma l’esistente. Superare la coalizione, con un soggetto completamente nuovo, invece, è un grande richiamo per la maggioranza dei cittadini che al momento non partecipa da nessuna parte».

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