Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata ritornano ad ammaliare il pubblico con l'epica vita e le canzoni di Chavela Vargas. Il 19 aprile sul palco del Quirinetta di Roma riportano in scena "Un mondo raro", la storia raccontata, ma soprattutto suonata e cantata, del loro viaggio in Messico sulle orme della cantante che fece innamorare Frida Kahlo e impazzire Ava Gardner. Dopo Roma le tappe di Firenze, il 22 aprile alla Sala Vanni, e Terni, il 9 maggio a Anteprima Encuentro. In attesa di ascoltarli ecco la nostra intervista ai due cantautori, pubblicata su Left n. 5 in occasione dell'uscita del disco e del libro "Un mondo raro" dai quali è tratto lo spettacolo .
Donne, grandi sbronze, canzoni romantiche e schiere di cuori infranti. È una vita piena quella vissuta da Chavela Vargas, nata in Costa Rica ma simbolo indiscusso del Messico. I cantautori siciliani Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata hanno deciso di raccontarla tra parole e musica con Un mondo raro, un libro (La nave di Teseo) ma anche un disco (Picicca dischi) dallo stesso titolo. Quella della Vargas è una storia epica e assume le dimensioni della leggenda perché parte dalla strada. Quella fatta da Di Martino e Cammarata per ripercorrere dalla Sicilia al Messico le orme di Chavela e quella fatta da lei stessa a 17 anni quando nel 1935 lascia, con il fagotto in spalla e il cuore carico di ambizioni, un Paese piccolo e bigotto per conquistare quello che in quegli anni era il regno di Frida Kahlo, Diego Rivera e Tina Modotti. Un Messico vivo, rivoluzionario e in fermento, come l’animo ribelle di Chavela che si vestiva da uomo, indossava un poncho rosso da mariachi e una fondina con una pistola per darsi un’aria da dura per poi sciogliersi appena apriva bocca per cantare le sue struggenti nenie d’amore.
«Il libro inizia con una porta in faccia e un produttore musicale che le dice: “Signorina Vargas lei ha una voce terribile”», racconta Antonio Di Martino. «Non è la prima porta in faccia che prende Chavela, ma volevamo sottolineare come i rifiuti fossero per lei uno stimolo, ad andare avanti e metterci ancora più impegno. Un mondo raro è la storia di una rivincita continua nei confronti della vita». Un canto, come le canzoni racchiuse nel disco, che invita a non darsi per vinti. «Tutta la sua esistenza è stata un andare contro un destino che sembrava avverso. O, se la si guarda da un’altra prospettiva, un inseguire un destino di cui solo lei all’inizio sembrava riconoscere il suono e il richiamo», spiega Fabrizio Cammarata, il primo dei due cantautori ad innamorarsi del mito di Chavela Vargas e a trascinare l’amico in questa avventura. «Non era una cosa così scontata essere una donna anticonformista e dichiaratamente omosessuale nell’America Latina, intrisa di machismo, degli anni 30 e 40» spiega Fabrizio «e non era una strada in discesa misurarsi con un Paese che non era il suo e con un genere musicale prettamente maschile. Quella di Chavela è stata una guerra continua contro gli elementi». Un’impresa epica appunto, fissata lì a monito ed esempio per chi per passione decide di andare contro, di insistere. «Come cantautori ci siamo sentiti dire di no innumerevoli volte e continuiamo a prendere porte in faccia» racconta Di Martino sorridendo, «ma forse - gli fa eco Cammarata - fa anche un po’ bene ricordarsi che nulla va dato per scontato, a qualsiasi livello della propria carriera si sia giunti».
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Quello di quegli anni è un Messico vivo, rivoluzionario e in fermento, come l’animo ribelle di Chavela che si vestiva da uomo e indossava un poncho rosso da mariachi e una fondina con una pistola per darsi un’aria da dura
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Ma la vita della Vargas è anche porte che si aprono, amicizie e incontri straordinari. Come quello con José Alfredo Jiménez, il più grande autore messicano di ballate rancheras. Una sera in una taverna di Città del Messico José sente Chavela cantare, la ascolta sbalordito e la invita a bere con lui. È la prima di molte altre serate alcoliche, ma soprattutto di un’amicizia e di una collaborazione fino alla fine indissolubili. La sete per la tequila, per la musica e per la vita in Chavela è inestinguibile. Beve, ma non ne ha mai abbastanza, «è un desiderio costante il suo, lo si vede soprattutto sul palco - dice Di Martino - dove emana un’enorme energia che allo stesso tempo riceve in cambio dal pubblico».
«Nella vita e durante i concerti, funzionava come una sorta di catalizzatore», aggiunge Cammarata «guardando i video delle sue esibizioni si ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcuno che sta cercando di raccogliere e cantare tutte le emozioni, il male e il bene delle persone presenti, sentimenti trasversali che ci fanno essere quasi un corpo unico... l’amore, la disperazione, la solitudine, la nostalgia e li trasforma in un rito. Chavela di fatto era una sciamana, questo la rendeva unica». Vargas infatti interpreta alla perfezione quella vita intrisa del senso della morte che è l’anima della mexicanidad, ma che possiamo ritrovare anche nella cultura della nostra Sicilia. «La Sicilia e il Messico forse sono fra i pochissimi posti al mondo in cui si celebra una vera e propria Festa dei morti», raccontano i due cantautori, «era come un secondo Natale, da bambini ci immaginavamo questi fantasmi che la notte fra l’1 e il 2 novembre entravano in casa per portarci i dolci. La Sicilia è intrisa di un senso tragicomico dell’esistenza, la morte è semplicemente il lato b della vita. Questo sentire ci ha reso più facile entrare nel mondo raro, prezioso e strano, di Chavela Vargas».
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La sete per la tequila, per la musica e per la vita in Chavela è inestinguibile. Beve, ma non ne ha mai abbastanza
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Un mondo nel quale non mancano aneddoti e volti noti. Ad Acapulco negli anni 50 si riversavano molti divi della Hollywood degli anni 50 alla ricerca di esperienze esotiche, ricorda Di Martino: «Di quelle notti Chavela amava raccontare di quando vide l’alba fra le gambe di Ava Gardner». La sensualità della cantante messicana è un altro tratto travolgente della sua personalità: «Durante il nostro viaggio in Messico abbiamo conosciuto anche Lila Downs, erede musicale dalla Vargas. Lila conobbe di persona Chavela quando lavorarono insieme sul set del film Frida con Selma Hayek. Chavela all’epoca aveva più di ottant’anni, Lila, trenta, ed era bellissima e carica di energie. Nonostante questo ci ha giurato che Chavela senza alcuna esitazione tentò un abbordaggio, non tradendo il suo spirito passionale». «C’è un brano che Vargas ha follemente amato cantare negli ultimi anni della sua vita», ci svelano i due cantautori come un segreto prezioso «si chiama “Las simples cosas”, “Le cose semplici”, e descrive, meglio di qualsiasi capitolo, anche i vent’anni di silenzio e di sparizione dalle scene pubbliche che hanno caratterizzato la vita di Chavela. Nella canzone ci dice che per lei la libertà era una cosa meravigliosa ma per possederla davvero bisognava pagare un prezzo altissimo: per lei quel prezzo era la solitudine».
#LeftPlay Chavela secondo Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata
Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata ritornano ad ammaliare il pubblico con l’epica vita e le canzoni di Chavela Vargas. Il 19 aprile sul palco del Quirinetta di Roma riportano in scena “Un mondo raro”, la storia raccontata, ma soprattutto suonata e cantata, del loro viaggio in Messico sulle orme della cantante che fece innamorare Frida Kahlo e impazzire Ava Gardner. Dopo Roma le tappe di Firenze, il 22 aprile alla Sala Vanni, e Terni, il 9 maggio a Anteprima Encuentro. In attesa di ascoltarli ecco la nostra intervista ai due cantautori, pubblicata su Left n. 5 in occasione dell’uscita del disco e del libro “Un mondo raro” dai quali è tratto lo spettacolo .
Donne, grandi sbronze, canzoni romantiche e schiere di cuori infranti. È una vita piena quella vissuta da Chavela Vargas, nata in Costa Rica ma simbolo indiscusso del Messico. I cantautori siciliani Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata hanno deciso di raccontarla tra parole e musica con Un mondo raro, un libro (La nave di Teseo) ma anche un disco (Picicca dischi) dallo stesso titolo. Quella della Vargas è una storia epica e assume le dimensioni della leggenda perché parte dalla strada. Quella fatta da Di Martino e Cammarata per ripercorrere dalla Sicilia al Messico le orme di Chavela e quella fatta da lei stessa a 17 anni quando nel 1935 lascia, con il fagotto in spalla e il cuore carico di ambizioni, un Paese piccolo e bigotto per conquistare quello che in quegli anni era il regno di Frida Kahlo, Diego Rivera e Tina Modotti. Un Messico vivo, rivoluzionario e in fermento, come l’animo ribelle di Chavela che si vestiva da uomo, indossava un poncho rosso da mariachi e una fondina con una pistola per darsi un’aria da dura per poi sciogliersi appena apriva bocca per cantare le sue struggenti nenie d’amore.
«Il libro inizia con una porta in faccia e un produttore musicale che le dice: “Signorina Vargas lei ha una voce terribile”», racconta Antonio Di Martino. «Non è la prima porta in faccia che prende Chavela, ma volevamo sottolineare come i rifiuti fossero per lei uno stimolo, ad andare avanti e metterci ancora più impegno. Un mondo raro è la storia di una rivincita continua nei confronti della vita». Un canto, come le canzoni racchiuse nel disco, che invita a non darsi per vinti. «Tutta la sua esistenza è stata un andare contro un destino che sembrava avverso. O, se la si guarda da un’altra prospettiva, un inseguire un destino di cui solo lei all’inizio sembrava riconoscere il suono e il richiamo», spiega Fabrizio Cammarata, il primo dei due cantautori ad innamorarsi del mito di Chavela Vargas e a trascinare l’amico in questa avventura. «Non era una cosa così scontata essere una donna anticonformista e dichiaratamente omosessuale nell’America Latina, intrisa di machismo, degli anni 30 e 40» spiega Fabrizio «e non era una strada in discesa misurarsi con un Paese che non era il suo e con un genere musicale prettamente maschile. Quella di Chavela è stata una guerra continua contro gli elementi». Un’impresa epica appunto, fissata lì a monito ed esempio per chi per passione decide di andare contro, di insistere. «Come cantautori ci siamo sentiti dire di no innumerevoli volte e continuiamo a prendere porte in faccia» racconta Di Martino sorridendo, «ma forse – gli fa eco Cammarata – fa anche un po’ bene ricordarsi che nulla va dato per scontato, a qualsiasi livello della propria carriera si sia giunti».
Quello di quegli anni è un Messico vivo, rivoluzionario e in fermento, come l’animo ribelle di Chavela che si vestiva da uomo e indossava un poncho rosso da mariachi e una fondina con una pistola per darsi un’aria da dura
Ma la vita della Vargas è anche porte che si aprono, amicizie e incontri straordinari. Come quello con José Alfredo Jiménez, il più grande autore messicano di ballate rancheras. Una sera in una taverna di Città del Messico José sente Chavela cantare, la ascolta sbalordito e la invita a bere con lui. È la prima di molte altre serate alcoliche, ma soprattutto di un’amicizia e di una collaborazione fino alla fine indissolubili. La sete per la tequila, per la musica e per la vita in Chavela è inestinguibile. Beve, ma non ne ha mai abbastanza, «è un desiderio costante il suo, lo si vede soprattutto sul palco – dice Di Martino – dove emana un’enorme energia che allo stesso tempo riceve in cambio dal pubblico».
«Nella vita e durante i concerti, funzionava come una sorta di catalizzatore», aggiunge Cammarata «guardando i video delle sue esibizioni si ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcuno che sta cercando di raccogliere e cantare tutte le emozioni, il male e il bene delle persone presenti, sentimenti trasversali che ci fanno essere quasi un corpo unico… l’amore, la disperazione, la solitudine, la nostalgia e li trasforma in un rito. Chavela di fatto era una sciamana, questo la rendeva unica». Vargas infatti interpreta alla perfezione quella vita intrisa del senso della morte che è l’anima della mexicanidad, ma che possiamo ritrovare anche nella cultura della nostra Sicilia. «La Sicilia e il Messico forse sono fra i pochissimi posti al mondo in cui si celebra una vera e propria Festa dei morti», raccontano i due cantautori, «era come un secondo Natale, da bambini ci immaginavamo questi fantasmi che la notte fra l’1 e il 2 novembre entravano in casa per portarci i dolci. La Sicilia è intrisa di un senso tragicomico dell’esistenza, la morte è semplicemente il lato b della vita. Questo sentire ci ha reso più facile entrare nel mondo raro, prezioso e strano, di Chavela Vargas».
La sete per la tequila, per la musica e per la vita in Chavela è inestinguibile. Beve, ma non ne ha mai abbastanza
Un mondo nel quale non mancano aneddoti e volti noti. Ad Acapulco negli anni 50 si riversavano molti divi della Hollywood degli anni 50 alla ricerca di esperienze esotiche, ricorda Di Martino: «Di quelle notti Chavela amava raccontare di quando vide l’alba fra le gambe di Ava Gardner». La sensualità della cantante messicana è un altro tratto travolgente della sua personalità: «Durante il nostro viaggio in Messico abbiamo conosciuto anche Lila Downs, erede musicale dalla Vargas. Lila conobbe di persona Chavela quando lavorarono insieme sul set del film Frida con Selma Hayek. Chavela all’epoca aveva più di ottant’anni, Lila, trenta, ed era bellissima e carica di energie. Nonostante questo ci ha giurato che Chavela senza alcuna esitazione tentò un abbordaggio, non tradendo il suo spirito passionale». «C’è un brano che Vargas ha follemente amato cantare negli ultimi anni della sua vita», ci svelano i due cantautori come un segreto prezioso «si chiama “Las simples cosas”, “Le cose semplici”, e descrive, meglio di qualsiasi capitolo, anche i vent’anni di silenzio e di sparizione dalle scene pubbliche che hanno caratterizzato la vita di Chavela. Nella canzone ci dice che per lei la libertà era una cosa meravigliosa ma per possederla davvero bisognava pagare un prezzo altissimo: per lei quel prezzo era la solitudine».
#LeftPlay Chavela secondo Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata