Al di là della professione, ogni essere umano è a suo modo filosofo o artista e può «suscitare nuovi modi di pensiero». L’idea della unificazione culturale per Gramsci passa anche attraverso il giornalismo. Ecco come realizzò il settimanale L’Ordine nuovo

Il 1° maggio 1919 a Torino esce il primo numero della rassegna settimanale di cultura socialista L’Ordine nuovo. Doveva rappresentare una svolta fondamentale per Antonio Gramsci che si accingeva a questa nuova avventura giornalistica dopo aver scritto su testate come l’Avanti, Il Grido del Popolo, La Città futura, L’Avanguardia. Con lui c’erano Umberto Terracini, Palmiro Togliatti e Angelo Tasca. E proprio con quest’ultimo Gramsci si scontrò duramente a proposito della linea editoriale da imprimere al nuovo settimanale. «Cosa intendeva il compagno Tasca per cultura, e dico, cosa intendeva concretamente e non astrattamente?», si chiede lo stesso Gramsci un anno dopo in due articoli usciti il 14 e 20 agosto e riportati da Lelio La Porta nella premessa del volume Gramsci chi? (Bordeaux edizioni, 2017).
Ebbene, il compagno Tasca per cultura, scrive polemico Gramsci, «intendeva ricordare, non intendeva pensare, e intendeva ricordare cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero operaio». Il settimanale quindi nei primi numeri «non fu nient’altro che un’antologia, una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta», continuava implacabile Gramsci. Che con Togliatti, racconta, ordì un “colpo di stato redazionale”, nel senso che cambiò il rapporto con i Consigli di fabbrica a cui il settimanale si rivolgeva, instaurando così un legame continuo – anche con incontri e discussioni – tra giornale e lettori che così non vivevano più L’Ordine nuovo calato dall’alto, ma «sentivano gli articoli pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore: Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?».
Ecco come doveva essere un giornale per Antonio Gramsci: non “fredde architetture intellettuali” ma articoli che rappresentavano le aspirazioni reali dei lettori e che rientravano in una ricerca più vasta, culturale, senza steccati ideologici tra i giornalisti e i lettori. Il giornale, come svilupperà più avanti in modo articolato nei Quaderni del carcere, sarà per Gramsci, “la scuola degli adulti”, con una funzione importantissima per la formazione stessa dell’uomo e in particolare delle classi operaie e contadine che non a caso idealmente volle unire sotto la testata de l’Unità, il giornale da lui fondato nel 1924.
Gramsci conosceva benissimo il mondo del giornalismo, in tutti i suoi meccanismi interni oltre che negli aspetti culturali ed ideologici. Aveva cominciato a scrivere su L’Unione Sarda, a 19 anni, nel 1910, una corrispondenza da Aidomaggiore, paesino vicino a Ghilarza, dove viveva, ottenendo il tesserino da giornalista. Ma fu a Torino che esplose la sua passione giornalistica fusa a quella politica. Lasciò gli studi di linguistica, dopo anni passati a tribolare povertà e freddo. (…) l’articolo prosegue s left in edicola

L’articolo continua su Left in edicola

 

SOMMARIO ACQUISTA

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.