Berlusconi risponde all'appello di Franceschini: «Non ci sono le condizioni per un Nazareno bis». Ma con tutti questi fan di Macron, la strada è comunque segnata

L’intervista di Dario Franceschini al Corriere della Sera è girata molto, ma vale la pena ripescarla, soprattutto nei due passaggi del suo appello a Silvio Berlusconi. Un appello – rispedito al mittente, vedremo – che non è solo per riscrivere la legge elettorale.

Come da ultima moda, infatti, Franceschini cita come riferimento l’esperienza di Macron.

A Verderami dice: «Il Pd la sua parte l’ha fatta: con le estreme ha chiuso, non punta in futuro a governare con l’area guidata da Fratoianni. Ora tocca a Berlusconi attribuirsi una funzione storica che da tempo gli chiede il Ppe, di cui fa parte. Lui ha l’occasione di allineare il nostro Paese al resto dell’Europa, dove Fillon non ha appoggiato la Le Pen al ballottaggio, dove la Merkel non si sogna di governare con Alternativa per la Germania, dove la May non vuole avere nulla a che fare con Farage. L’Italia non può essere l’unico Paese in cui una forza moderata di centrodestra sta insieme a populisti ed estremisti».

L’invito a Berlusconi non è quindi sulla sola legge elettorale, ma è programmatico, ambizioso, di sistema, di governo: «La stagione del bipolarismo, quella in cui centrodestra e centrosinistra dovevano aggregare anche le forze estreme per battere l’avversario con un voto in più, è finita», dice il ministro dei Beni Culturali, «cambiare schema è un gesto di responsabilità. Ignorarlo un errore che si porterebbe appresso un rischio, quello di non calcolare le dimensioni dell’onda. Il populismo».

Il citato Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana ha preso la palla al balzo per dire: «Franceschini stia sereno, chi si somiglia si piglia. Non siamo sorpresi che preferisca Berlusconi». A noi però interessa capire se il suo è uno strappo personale o una linea tracciata dai più.

Che Macron abbia risvegliato l’entusiasmo di Matteo Renzi è cosa nota. E il modello Macron è quello che dice Franceschini. A citare l’esperienza francese per prefigurare larghe o grosse coalizioni che non siano più estemporanee ma dettate dal nuovo (e comodo) schema responsabili contro populisti, sono poi anche altri esponenti della maggioranza. A cui nessuno dal Pd per ora chiude la porta.

Tipo Beatrice Lorenzin. Che non per nulla chiede che le poche modifiche alla legge elettorale prevedano un premio alla coalizione e non al singolo partito. «Il punto», dice, «è che anche nel nostro Paese ci sono due fronti contrapposti: quello pro Europa, pro Euro; e quello antisistema». Riecco dunque la stessa semplificazione – perché di semplificazione si tratta, che appiattisce le differenze nel fronte di quelle che Franceschini chiama «le estreme». «L’elezione di Macron», continua Lorenzin, senza che nessuno senta l’esigenza di stopparla, «ha dimostrato qual è il nuovo corso che vince».

Ed è solo registrando la risposta che Berlusconi affida a un’intervista a Panorama che uscirà giovedì, che si può immaginare che quella di Franceschini sia la provocazione che rende più che tollerabile l’esistente, cioè un governo con il centrodestra più moderato. Anche Berlusconi, infatti, cita Macron, ma parlando per il momento a Salvini e Meloni.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.