I toni di Alessandro Di Battista non sono certo una novità: «Boschi è una bugiarda cronica. Non ha neanche senso chiamarla in Aula, vogliamo che venga Gentiloni e non faccia il verginello immacolato». L’indignazione dei 5 stelle non è un termometro affidabile, per via della nota storia del lupo. Il caso Boschi però è un caso politico molto spinoso, che - come spesso accade - supera persino i fatti che l’ex direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli rimprovera a Maria Elena Boschi, ex ministro del governo Renzi e ora sottosegretaria alla presidenza del Consiglio con Gentiloni. Accuse che hanno già fatto finire in ristampa, ovviamente, l'ultimo libro di De Bertoli, Poteri forti (o quasi) in uscita con la Nave di Teseo. Il fatto imputato a Boschi, ricordiamo, è quello di essersi spesa personalmente, ai tempi del governo Renzi, e quindi da ministro, con i vertici di Unicredit per far valutare l’acquisizione di Banca Etruria, come noto in difficoltà. Banca di cui il padre di Boschi era vicepresidente. Boschi dal canto suo conferma quando detto nel 2015 al Parlamento: «Mai mi sono occupata di Banca Etruria». Ma anche De Bortoli (che definì Renzi un “maleducato di talento” e che disse, sul Giglio magico, di sentire un “sentore di massoneria”) conferma: «Sono assolutamente tranquillo e sicuro delle mie fonti. Sono un collezionista di querele. E spero che quello di Boschi non sia solo un annuncio». De Bertoli, peraltro, presentando il libro a Milano, spiega bene quale sia il punto. «Ho parlato di interessamento e non di pressioni», dice, ma poi continua: «Credo si debba uscire dall’ipocrisia, non trovo nulla di strano nel fatto che i politici si occupino dei problemi economici del territorio. Poi ci sono i conflitti d’interesse e le parole in Parlamento». Le bugie di cui strilla Di Battista e il conflitto di interessi su cui mai si è fatta una legge. Tutto sarebbe più facile, comunque, se Federico Ghizzoni, allora amministratore delegato di Unicredit, e che De Bortoli tratta come fonte, confermasse o smentisse quanto scritto dal giornalista. Paolo Mieli, anche lui alla presentazione del libro, indica così il silenzio, che è centrale: «Manca un “dettaglio”», nota giustamente Mieli, «Ghizzoni, il cui silenzio appare una conferma, ha il dovere di spiegare dove, come e quando». In attesa che la vicenda si chiarisca (posto che potrebbe anche non chiarirsi come spesso accade, sparendo da radar appena un'altra polemica la sostituirà), comunque il caso cresce e crescono le ricadute politiche. Per ora il fronte del Pd è compatto a difesa di Boschi (anche perché la minoranza più critica, e che anche su questo caso chiede che «si vada a fondo», ha lasciato il partito). Ma qualcuno forse dovrebbe notare come è cambiata la figura di Boschi. Che rischia di esser «piombo nelle ali», come dice Peppino Caldarola a Omnibus, su La7, nelle ali di Renzi - che pure già ha il piombo suo. E non solo per le notizie, le polemiche (fossero anche dicerie, mediaticamente si pagano) sul caso Banca Etruria. Boschi dava, come noto, il nome alla riforma sonoramente bocciata al referendum di dicembre. Boschi, come Renzi, aveva giurato che avrebbe lasciato la politica. Boschi, insomma, non è più quella che (brevemente, come in una sbronza collettiva) è stata. Lo scrive Melania Rizzoli su Libero (che titola "Boschi in fiamme"). Boschi «al suo esordio politico era la novità esplosiva, creata dalle mani del pifferaio magico Matteo Renzi, inseguita da ammiratori e giornalisti, fotografata e intervistata anche in bikini, considerata la più bella e la più tosta del Parlamento», oggi invece, «ha un’immagine che si sta distruggendo con il nuovo caso Banca Etruria, e che si sta trasformando lentamente, come fosse un avatar, con una metamorfosi evidente e irreversibile, che le toglie tutti i poteri». Insomma, continua Rizzoli, «Maria Elena sta diventando antipatica, quasi come la presidente Laura Boldrini». Qualcuno ne prenderà atto?

I toni di Alessandro Di Battista non sono certo una novità: «Boschi è una bugiarda cronica. Non ha neanche senso chiamarla in Aula, vogliamo che venga Gentiloni e non faccia il verginello immacolato». L’indignazione dei 5 stelle non è un termometro affidabile, per via della nota storia del lupo. Il caso Boschi però è un caso politico molto spinoso, che – come spesso accade – supera persino i fatti che l’ex direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli rimprovera a Maria Elena Boschi, ex ministro del governo Renzi e ora sottosegretaria alla presidenza del Consiglio con Gentiloni. Accuse che hanno già fatto finire in ristampa, ovviamente, l’ultimo libro di De Bertoli, Poteri forti (o quasi) in uscita con la Nave di Teseo.

Il fatto imputato a Boschi, ricordiamo, è quello di essersi spesa personalmente, ai tempi del governo Renzi, e quindi da ministro, con i vertici di Unicredit per far valutare l’acquisizione di Banca Etruria, come noto in difficoltà. Banca di cui il padre di Boschi era vicepresidente. Boschi dal canto suo conferma quando detto nel 2015 al Parlamento: «Mai mi sono occupata di Banca Etruria». Ma anche De Bortoli (che definì Renzi un “maleducato di talento” e che disse, sul Giglio magico, di sentire un “sentore di massoneria”) conferma: «Sono assolutamente tranquillo e sicuro delle mie fonti. Sono un collezionista di querele. E spero che quello di Boschi non sia solo un annuncio».

De Bertoli, peraltro, presentando il libro a Milano, spiega bene quale sia il punto. «Ho parlato di interessamento e non di pressioni», dice, ma poi continua: «Credo si debba uscire dall’ipocrisia, non trovo nulla di strano nel fatto che i politici si occupino dei problemi economici del territorio. Poi ci sono i conflitti d’interesse e le parole in Parlamento». Le bugie di cui strilla Di Battista e il conflitto di interessi su cui mai si è fatta una legge.

Tutto sarebbe più facile, comunque, se Federico Ghizzoni, allora amministratore delegato di Unicredit, e che De Bortoli tratta come fonte, confermasse o smentisse quanto scritto dal giornalista. Paolo Mieli, anche lui alla presentazione del libro, indica così il silenzio, che è centrale: «Manca un “dettaglio”», nota giustamente Mieli, «Ghizzoni, il cui silenzio appare una conferma, ha il dovere di spiegare dove, come e quando».

In attesa che la vicenda si chiarisca (posto che potrebbe anche non chiarirsi come spesso accade, sparendo da radar appena un’altra polemica la sostituirà), comunque il caso cresce e crescono le ricadute politiche.

Per ora il fronte del Pd è compatto a difesa di Boschi (anche perché la minoranza più critica, e che anche su questo caso chiede che «si vada a fondo», ha lasciato il partito). Ma qualcuno forse dovrebbe notare come è cambiata la figura di Boschi. Che rischia di esser «piombo nelle ali», come dice Peppino Caldarola a Omnibus, su La7, nelle ali di Renzi – che pure già ha il piombo suo. E non solo per le notizie, le polemiche (fossero anche dicerie, mediaticamente si pagano) sul caso Banca Etruria. Boschi dava, come noto, il nome alla riforma sonoramente bocciata al referendum di dicembre. Boschi, come Renzi, aveva giurato che avrebbe lasciato la politica. Boschi, insomma, non è più quella che (brevemente, come in una sbronza collettiva) è stata.

Lo scrive Melania Rizzoli su Libero (che titola “Boschi in fiamme”). Boschi «al suo esordio politico era la novità esplosiva, creata dalle mani del pifferaio magico Matteo Renzi, inseguita da ammiratori e giornalisti, fotografata e intervistata anche in bikini, considerata la più bella e la più tosta del Parlamento», oggi invece, «ha un’immagine che si sta distruggendo con il nuovo caso Banca Etruria, e che si sta trasformando lentamente, come fosse un avatar, con una metamorfosi evidente e irreversibile, che le toglie tutti i poteri». Insomma, continua Rizzoli, «Maria Elena sta diventando antipatica, quasi come la presidente Laura Boldrini». Qualcuno ne prenderà atto?

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.