Dalla Mesopotamia fino all’India nell’antichità era diffuso il mito del potente re di Uruk, raccontato nel libro dell’assiriologo Franco D’Agostino. Precedente ai due monoteismi, era espressione di una civiltà in cui l’immagine della donna non era negata

Dalle nostre parti, in Occidente, fino all’Ottocento, in principio… era la Bibbia. La storia del mondo e tutta la più remota antichità iniziava e finiva con la Bibbia. La creazione, l’origine della specie umana e tutta la storia dei popoli che abitavano il cosiddetto Vicino Oriente antico si esauriva con quanto narrato nella Bibbia, considerato testo sacro da due delle grandi religioni monoteiste, il Cristianesimo e l’Ebraismo. Poi venne l’antichità classica, il mondo greco e latino che, con l’imperatore Costantino, si ricongiunse con il Cristianesimo. Per millenni il mondo occidentale aveva escluso la possibilità che fuori dai suoi orizzonti fosse mai esistita altra civiltà degna di questo nome.

Improvvisamente, al principio dell’Ottocento la scoperta dei testi babilonesi e assiri aprì uno squarcio sull’esistenza di altro mondo antico, precedente a quello narrato nella Bibbia e, forse, proprio contro il quale il monoteismo si era costruito. È questa la storia della scoperta delle culture della Mesopotamia: un mondo che oggi ci appare ricchissimo, quanto sconosciuto, sui quali domina il mito di Gilgameš, il potente sovrano della città di Uruk, le cui gesta sono celebrate su tavolette di argilla scritte in caratteri cuneiformi, in lingua sumerica, babilonese e assira. È questo un mito fondante diffuso in tutto il mondo antico dalla Mesopotamia all’Anatolia, dalla Palestina ai confini del mondo indiano. Anche la storia della scoperta di questo mito è singolare. Il primo a raccontarla fu George Smith, un ricercatore inglese, che in realtà lo stava studiando alla ricerca di elementi utili per dimostrare la storicità del diluvio universale.

Alla scoperta di questo mito così antico e così moderno è dedicato il bel libro dell’assiriologo Franco D’Agostino appena uscito per i tipi de L’Asino d’oro: Gilgameš, il re, l’uomo, lo scriba. L’opera si apre con la storia della scoperta del mito e ci rendiamo subito conto della fatica che hanno fatto i grandi archeologi dell’Ottocento per costringere la cultura occidentale a fare i conti con l’esistenza di un mondo completamente altro, più antico e preesistente all’unico mondo possibile, quello della sacra Bibbia appunto, poiché fino a quel momento, tutta la ricerca archeologica e filologica era considerata al servizio degli studi biblici. Invece ci accorgiamo come questa tradizione si collochi alla fonte di tanti miti successivi, che trasformati, o meglio, deformati, sono giunti fino a noi nella Bibbia e nella classicità greca e romana.

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