Nel mare al largo della Libia, nella notte tra il 6 e 7 maggio, il radar permette di capire ciò che sta accadendo in quel preciso momento meglio di un qualsiasi rapporto ufficiale. Nell’immagine del tracciato – pubblicato da La Stampa – si vede un grande punto verde al centro, la nave della Ong, e una trentina di puntini gialli, i gommoni con i migranti che si avvicinano fino a circondare l’imbarcazione umanitaria. Nessuna traccia dei mezzi targati Frontex. L’agenzia europea che ha il compito di presidiare le coste, non c’era con i suoi mezzi in quel braccio di mare del Mediterraneo centrale ormai segnato da una lunga scia di sangue. Eppure il primo fine settimana di maggio è stato eccezionale per il numero di partenze dalle coste libiche. Oltre 7mila persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Italia e domenica 7 maggio, secondo quanto ha riferito l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) in un naufragio si sono salvate 7 persone mentre 113 sono quelle disperse. Un’ennesima tragedia che porta, secondo l’Unhcr il numero delle vittime dall’inizio dell’anno a oltre 1150. Sui gommoni fatiscenti – a cui gli scafisti tolgono anche il motore in vicinanza delle imbarcazioni delle Ong – viaggiano 100-150 persone e a bordo, a differenza di qualche tempo fa, non ci sono telefoni satellitari. Rintracciare quei puntini gialli diventa così sempre più difficile da parte di chi effettua attività di soccorso in mare. Siamo di nuovo in una fase di emergenza, tenendo conto che sono già oltre 43mila gli arrivi nel 2017? «Così non può continuare», scrive in una nota ufficiale Filippo Grandi, l’Alto commissario Onu sui rifugiati. Che chiede di «affrontare le motivazioni alla base delle migrazioni» e di offrire «alternative sicure a queste pericolose traversate» a tutte quelle persone che hanno bisogno di protezione internazionale e che vogliono raggiungere l’Europa o per ricrearsi una vita lontano dalle guerre e dalla fame o per ritrovare i familiari partiti prima di loro.
Le Ong criminalizzate
L’escalation di sbarchi avviene in un momento particolare. Da qualche settimana nei confronti delle Ong, dopo le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, infuria quella che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia non esita a definire una campagna mediatica «fatta di insinuazioni, sospetti, attacchi senza prove concrete». Il rischio è quello di delegittimare e stigmatizzare l’attività di quelle organizzazioni non governative che hanno sostituito in qualche modo Mare nostrum, l’operazione di salvataggio promossa dal governo Letta subito dopo la tragedia del 3 ottobre a Lampedusa e terminata il 31 ottobre 2014, quando subentrò la missione Triton di Frontex, che, però, non ha come obiettivo la ricerca e il salvataggio. E gli effetti si vedono. Nel rapporto 2016 della Guardia costiera, le Ong hanno salvato 46.796 persone nel Mediterraneo centrale, la sola Frontex (eccetto unità italiane) 13.616. «Se si cominciasse a sequestrare le imbarcazioni e a criminalizzare le attività delle singole persone a bordo delle navi umanitarie, questo vorrebbe dire oltre al danno la beffa», continua Riccardo Noury. Il danno, perché le Ong «volontariamente hanno preso il posto dei Paesi europei che hanno rinunciato a questa attività di ricerca e soccorso in mare» e la beffa, ovviamente, perché mentre fanno questo lavoro scomodo poi vengono penalizzate. E lo sono già, perché le donazioni stanno diminuendo e questo è un danno enorme. Il 3 maggio davanti alla Commissione Difesa del Senato il procuratore di Catania ha parlato di nuovo dei presunti legami tra organizzazioni non governative e i trafficanti di esseri umani libici. Prove concrete non ci sono ma le informazioni, ha detto Zuccaro, si basano sui dati forniti da Frontex e dalla Marina. Di un documento dell’agenzia europea si era cominciato a parlare a dicembre dello scorso anno, oggetto anche di un’inchiesta del Financial Times.
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