Così la Chiesa, nella ripartizione 2016 dei redditi 2012, si è aggiudicata l’80,9 per cento dell’importo complessivo (un miliardo e passa)

Giulio Tremonti ne vanta la paternità, è il protagonista di martellanti e costose campagne pubblicitarie, allo Stato sembra invece non interessare affatto. La Corte dei Conti ne chiede modifiche da anni e da anni resta inascoltata, il contribuente medio ne ignora il funzionamento. Che cos’è? È l’otto per mille, quella quota obbligatoria di Irpef che dobbiamo lasciare allo Stato o alla Chiesa cattolica o ad altre undici cosiddette confessioni di minoranza che hanno stipulato un’intesa ex art. 8 Cost. Obbligatoria, si diceva, a differenza del cinque per mille e del due, di fugace comparsa solo per lo scorso anno. Ma che più che a una tassazione coatta di sostegno ai culti si avvicina in effetti a un sondaggio di opinione: l’intero gettito viene infatti ripartito in base alle sole scelte espresse. Non firmare, anche se il contribuente spesso non lo sa, equivale a destinare la propria quota non allo Stato, bensì alle scelte degli altri. Con questo trucchetto al limite della truffa la Chiesa cattolica nella ripartizione 2016 dei redditi del 2012 con il 36,7 % delle preferenze si è aggiudicata l’80,9 dell’importo complessivo (un miliardo e passa).
La stortura dell’intero sistema, dalla mancata proporzionalità alla pressoché totale carenza di informazione al cittadino, alla opacità perdurante sull’utilizzo dei fondi, così come sottolineate a più riprese dalla Corte dei Conti, è accentuata dal fatto che solo il 45% dei contribuenti esprime una scelta.

Il restante 55% comunque concorre, volente nolente e a sua insaputa che sia, a quel miliardo alla Chiesa Cattolica di cui sopra. Che, fra parentesi, lo utilizza in massima parte per “esigenze di culto”, mentre all’obiettivo originario di sostentamento del clero, abolita la vecchia congrua, va appena il 36% dell’introito. Ai “poveri bimbi dell’Africa” e agli aiuti al Terzo Mondo in generale… l’8,6%.

Al contrario, alcune confessioni “virtuose” hanno rinunciato per anni alle quote derivanti da scelte inespresse, decidendo di trattenere solo quelle a loro esplicito favore. Inoltre, la Tavola Valdese in testa, alcune rifiutano di utilizzare le risorse per esigenze di culto. Purtroppo anche questi tentativi di sottolineare il problema cadono nel vuoto.Anche perché, ulteriore paradosso del meccanismo, lo Stato è di fatto un competitor inesistente. Non si fa alcuna pubblicità, anche se avrebbe potuto utilizzare quanto ricevuto per la ricostruzione e l’adeguamento antisismico degli edifici scolastici. Adesso il problema nemmeno si pone più, visto che fino al 2026 l’otto per mille statale sarà destinato esclusivamente ai beni culturali.

Non aiuta infine che, come da più inchieste segnalato, siano spesso gli stessi Centri di assistenza fiscale non solo a non fornire corrette informazioni, ma direttamente a pilotare le scelte.
Eppure modificare il meccanismo sarebbe anche possibile, oltre che logico e auspicabile. Basterebbe una piccola variazione alla legge 222 del 1985 che è sì di derivazione concordataria, ma non coperta dal diritto internazionale. Ma nessuno che abbia mai, in tutti questi anni e nonostante esplicita previsione normativa, pensato perlomeno di rivedere al ribasso la quota.In ogni caso la torta risulta talmente appetibile che da più parti giungono ostacoli all’allargamento del novero dei beneficiari, come i Testimoni di Geova o le comunità islamiche. O perché no, associazioni esponenziali di cosmogonie atee e agnostiche.
Insomma una partita (di poker?) dal piatto miliardario, ma a carte truccate e sempre con gli stessi giocatori. Non passiamo, però: andiamo a vedere.
*UAAR Unione degli atei e degli agnostici razionalisti

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