L’Iran va al voto e nel Paese si gioca una partita importante, non tanto e non solo per gli equilibri interni o le possibilità di una svolta nelle libertà e nei diritti civili. Le aspettative, a giudicare dalle cronache da Teheran, non sono particolarmente alte, ma il voto degli 80 milioni di iraniani sarà determinante per gli equilibri regionali e le relazioni internazionali del Paese. Yemen, Siria, Libano, Iraq, accordo sul nucleare con Usa ed Europa: in questi difficili anni il Paese ha giocato un ruolo importante, a volte buono, a tratti pessimo, ma comunque partecipando al consesso internazionale, riconoscendo l’importanza della diplomazia.
Le elezioni e il ruolo internazionale dell'Iran sono anche importanti per l'Italia: il nostro Paese è uno dei primi partner commerciali europei e dall'alleggerimento delle sanzioni gli scambi commerciali sono in aumento costante. Sul sito dell'ambasciata italiana leggiamo: «L’interscambio UE-Iran ha raggiunto i 9,11 miliardi di Euro nei primi nove mesi del 2016 dai 5,577 miliardi dello stesso periodo nell’anno precedente... Nel 2016 il valore delle esportazioni italiane è stato pari a 1,5 miliardi di euro, segnando un incremento del +29% rispetto al 2015». Prima delle sanzioni l'italiana Eni era tra i primi compratori del greggio iraniano e, a dicembre 2016, la compagnia nazionale iraniana e il gigante italiano dell'energia hanno firmato un contratto da 100mila barili l'anno e nei prossimi anni, se continuerà a poter esportare, assegnerà nuove licenze di esplorazione ed estrazione.
La sfida tra il presidente uscente Hassan Rouhani e Ebrahim Raisi, il campione dei conservatori e dei Guardiani della rivoluzione - una potenza politica, militare e anche economica - per noi, è importante per capire se terranno quelle relazioni internazionali tessute negli ultimi anni? L’esito è molto incerto e negli ultimi giorni due candidati di primo piano si sono ritirati per sostenere il politico a loro vicino - il sindaco di Teheran con Raisi, il vicepresidente con Rouhani. L’ultima volta che un voto è stato tanto incerto e conteso è quella in cui il presidente Ahmadinejad fu rieletto tra le proteste della piazza di Teheran - proteste che segnarono in qualche modo un assaggio della Primavera araba che esplose nel 2011. E a proposito di quelle proteste, con Rouhani si schiera Hossein Mousavi, una delle due figure di primo piano arrestate in seguito alle proteste di allora (“la sedizione” la chiamano i conservatori) e agli arresti domiciliari dal 2011. Con il presidente in carica anche il nipote dell’ayatollah Khomeini, a sua volta un leader religioso, ma riformatore.
[caption id="attachment_99669" align="aligncenter" width="1024"] Un comizio di Rouhani a Teheran EPA/ABEDIN TAHERKENAREH[/caption] [caption id="attachment_99670" align="aligncenter" width="1024"] EPA/ABEDIN TAHERKENAREH[/caption]In questa contesa il moderato Rouhani - non un riformatore, ricordiamolo - presenta se stesso come l’outsider anti establishment e attacca l’avversario come la faccia peggiore della Repubblica Islamica. Nei comizi, il presidente non ha mancato di ricordare il ruolo svolto dall’avversario nelle "commissioni della morte" che sterminarono migliaia di dissidenti di sinistra alla fine degli anni '80 e, in seguito, come procuratore generale. «Il popolo dirà no a coloro che solo nel corso di 38 anni hanno giustiziato e imprigionato; Coloro che tagliarono le lingue e chiudevano le bocche; ... coloro che [hanno] vietato la penna e vietarono l'immagine. Quelle persone non dovrebbero nemmeno respirare la parola libertà, perché sconvolgono la libertà». I toni usati da Rouhani sono eccessivi perché sotto la sua presidenza non ci sono state svolte clamorose dal punto di vista della libertà di parola, censura, comportamenti. La vittoria del conservatore rappresenterebbe comunque un passo indietro.
Quanto a Raini, non è una figura politica popolare. Sodale e allievo dall’autorità politico religiosa più alta del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei che tutti si aspettano prima o poi si faccia da parte, è stato procuratore capo, responsabile della Corte speciale che vigila sull’operato dei religiosi, membro dell’Assemblea che elegge il leader supremo) e, come appunto ama ricordare Rouhani, parte della violenta campagna di repressione che eliminò i dissidenti di sinistra che pure erano stati parte determinante nella rivoluzione che cacciò lo scià Reza Pahlevi.
Da poco più di un anno Raisi è a capo della Astan Qods Razavi, fondazione religiosa e impero economico con ampi interessi di ogni tipo e la grande capacità di distribuire welfare e risorse ai poveri delle periferie e della campagna iraniana. Le sue promesse elettorali sono dirette proprio a questa gente. Questa è la sua arma più importante: grazie alle risorse della fondazione e al discorso conservatore, Raisi può presentarsi come il campione dei diseredati. Così vinse le elezioni Ahmadinejad, che pure approfittò del ruolo cruciale svolto dalla commissione elettoral-religiosa che approva o boccia i candidati e le liste elettorali. Raisi è anche una delle figure con più chance di succedere a Khamenei come Guida suprema della rivoluzione. Un ruolo cruciale, come è cruciale la guida della Astan Qods Razavi nel controllare l’apparato politico-religioso parallelo allo Stato democratico iraniano. La successione di Khamenei è una delle questioni cruciali che il prossimo presidente si potrebbe dover trovare ad affrontare. L'unico a ricoprire quel ruolo prima di lui è stato l'ayatollah Khomeini e per il ruolo che esercita, su molti fronti più importante di quello del presidente stesso, è cruciale per la vita iraniana.
[caption id="attachment_99668" align="aligncenter" width="1024"] Il conservatore Raisi a Teheran EPA/ABEDIN TAHERKENAREH[/caption] [caption id="attachment_99671" align="aligncenter" width="1024"] EPA/ABEDIN TAHERKENAREH[/caption]In materia internazionale Raisi non è contrario all’accordo sul nucleare ma ritiene che questo sia stato negoziato con troppa morbidezza. Paradossalmente è la stessa posizione del presidente americano Trump, la cui retorica potrebbe aver aiutato i conservatori. Probabilmente consigliato da persone di buon senso, il presidente Usa, nell’imminenza del voto, ha rinnovato l’ammorbidimento delle sanzioni voluto da Obama - misura che aveva promesso di cancellare in campagna elettorale.
Se Rohani può vendere quell’accordo, la riammissione dell’Iran nel consesso internazionale e un miglioramento della situazione economica, Raisi ha dalla sua la disoccupazione che resta molto alta specie tra i giovani e la mancata percezione degli effetti della crescita nelle zone periferiche del Paese. Gli effetti dell'ammorbidimento delle sanzioni non si percepiscono abbastanza e il voto è anche, molto, sullo stato dell'economia. Se a prevalere sarà lo scontento per una disoccupazione che resta a due cifre, sarà Raisi a spuntarla. Viceversa, verrà confermato Rouhani se la promessa di un'ulteriore apertura all'esterno, anche economica, convincerà gli iraniani.
Chi vincerà è molto difficile da prevedere: se nessuno dovesse arrivare al 50% si andrà al secondo turno. Un ruolo cruciale lo giocheranno le donne, che pesano poco nella politica istituzionale ma sono spesso molto attive come corpo elettorale. Rouhani ha fatto alcune abili mosse social per parlarci direttamente. Compresa una foto in montagna con due ragazze che non vestono in maniera tradizionale. Una foto di un comizio di Raisi con il pubblico separato tra maschi e femmine, ha invece fatto il giro dei social iraniani in senso negativo. A sua volta, il candidato conservatore si è fatto riprendere con un rapper tutto tatuato, Amir Tataloo, per ringiovanire la sua immagine. Questa è la prima campagna social e Telegram, quello più usato, ha 40 milioni di utenti attivi. In generale i toni usati sono stati meno abbottonati ed evocativi e più diretti che in passato. Ma i social, come abbiamo visto nel 2009 e durante la cosiddetta rivoluzione verde, non sono lo specchio del Paese. Nemmeno in Iran, dove i giovani under 30 sono il 60% della popolazione. Negli anni il candidato anti-establishment, ha scritto Trita Parsi su Foreign Affairs, ha sempre vinto le elezioni. Così è andata al riformatore ed ex presidente Khatami, dopo la rivolta del 2009 molto limitato nella possibilità di svolgere un ruolo, ad Ahmadinejad, che non era il favorito di Khamenei e correva contro Rafsanjani, e poi a Rouhani. Raisi è innegabilmente il candidato della cupola conservatrice religiosa e se Parsi avesse ragione, ci sarebbe da stare allegri. Cruciale per Rouhani sarà l'affluenza al voto.
L’Iran va al voto e nel Paese si gioca una partita importante, non tanto e non solo per gli equilibri interni o le possibilità di una svolta nelle libertà e nei diritti civili. Le aspettative, a giudicare dalle cronache da Teheran, non sono particolarmente alte, ma il voto degli 80 milioni di iraniani sarà determinante per gli equilibri regionali e le relazioni internazionali del Paese. Yemen, Siria, Libano, Iraq, accordo sul nucleare con Usa ed Europa: in questi difficili anni il Paese ha giocato un ruolo importante, a volte buono, a tratti pessimo, ma comunque partecipando al consesso internazionale, riconoscendo l’importanza della diplomazia.
Le elezioni e il ruolo internazionale dell’Iran sono anche importanti per l’Italia: il nostro Paese è uno dei primi partner commerciali europei e dall’alleggerimento delle sanzioni gli scambi commerciali sono in aumento costante. Sul sito dell’ambasciata italiana leggiamo: «L’interscambio UE-Iran ha raggiunto i 9,11 miliardi di Euro nei primi nove mesi del 2016 dai 5,577 miliardi dello stesso periodo nell’anno precedente… Nel 2016 il valore delle esportazioni italiane è stato pari a 1,5 miliardi di euro, segnando un incremento del +29% rispetto al 2015». Prima delle sanzioni l’italiana Eni era tra i primi compratori del greggio iraniano e, a dicembre 2016, la compagnia nazionale iraniana e il gigante italiano dell’energia hanno firmato un contratto da 100mila barili l’anno e nei prossimi anni, se continuerà a poter esportare, assegnerà nuove licenze di esplorazione ed estrazione.
La sfida tra il presidente uscente Hassan Rouhani e Ebrahim Raisi, il campione dei conservatori e dei Guardiani della rivoluzione – una potenza politica, militare e anche economica – per noi, è importante per capire se terranno quelle relazioni internazionali tessute negli ultimi anni? L’esito è molto incerto e negli ultimi giorni due candidati di primo piano si sono ritirati per sostenere il politico a loro vicino – il sindaco di Teheran con Raisi, il vicepresidente con Rouhani. L’ultima volta che un voto è stato tanto incerto e conteso è quella in cui il presidente Ahmadinejad fu rieletto tra le proteste della piazza di Teheran – proteste che segnarono in qualche modo un assaggio della Primavera araba che esplose nel 2011. E a proposito di quelle proteste, con Rouhani si schiera Hossein Mousavi, una delle due figure di primo piano arrestate in seguito alle proteste di allora (“la sedizione” la chiamano i conservatori) e agli arresti domiciliari dal 2011. Con il presidente in carica anche il nipote dell’ayatollah Khomeini, a sua volta un leader religioso, ma riformatore.
In questa contesa il moderato Rouhani – non un riformatore, ricordiamolo – presenta se stesso come l’outsider anti establishment e attacca l’avversario come la faccia peggiore della Repubblica Islamica. Nei comizi, il presidente non ha mancato di ricordare il ruolo svolto dall’avversario nelle “commissioni della morte” che sterminarono migliaia di dissidenti di sinistra alla fine degli anni ’80 e, in seguito, come procuratore generale. «Il popolo dirà no a coloro che solo nel corso di 38 anni hanno giustiziato e imprigionato; Coloro che tagliarono le lingue e chiudevano le bocche; … coloro che [hanno] vietato la penna e vietarono l’immagine. Quelle persone non dovrebbero nemmeno respirare la parola libertà, perché sconvolgono la libertà». I toni usati da Rouhani sono eccessivi perché sotto la sua presidenza non ci sono state svolte clamorose dal punto di vista della libertà di parola, censura, comportamenti. La vittoria del conservatore rappresenterebbe comunque un passo indietro.
Quanto a Raini, non è una figura politica popolare. Sodale e allievo dall’autorità politico religiosa più alta del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei che tutti si aspettano prima o poi si faccia da parte, è stato procuratore capo, responsabile della Corte speciale che vigila sull’operato dei religiosi, membro dell’Assemblea che elegge il leader supremo) e, come appunto ama ricordare Rouhani, parte della violenta campagna di repressione che eliminò i dissidenti di sinistra che pure erano stati parte determinante nella rivoluzione che cacciò lo scià Reza Pahlevi.
Da poco più di un anno Raisi è a capo della Astan Qods Razavi, fondazione religiosa e impero economico con ampi interessi di ogni tipo e la grande capacità di distribuire welfare e risorse ai poveri delle periferie e della campagna iraniana. Le sue promesse elettorali sono dirette proprio a questa gente. Questa è la sua arma più importante: grazie alle risorse della fondazione e al discorso conservatore, Raisi può presentarsi come il campione dei diseredati. Così vinse le elezioni Ahmadinejad, che pure approfittò del ruolo cruciale svolto dalla commissione elettoral-religiosa che approva o boccia i candidati e le liste elettorali. Raisi è anche una delle figure con più chance di succedere a Khamenei come Guida suprema della rivoluzione. Un ruolo cruciale, come è cruciale la guida della Astan Qods Razavi nel controllare l’apparato politico-religioso parallelo allo Stato democratico iraniano. La successione di Khamenei è una delle questioni cruciali che il prossimo presidente si potrebbe dover trovare ad affrontare. L’unico a ricoprire quel ruolo prima di lui è stato l’ayatollah Khomeini e per il ruolo che esercita, su molti fronti più importante di quello del presidente stesso, è cruciale per la vita iraniana.
In materia internazionale Raisi non è contrario all’accordo sul nucleare ma ritiene che questo sia stato negoziato con troppa morbidezza. Paradossalmente è la stessa posizione del presidente americano Trump, la cui retorica potrebbe aver aiutato i conservatori. Probabilmente consigliato da persone di buon senso, il presidente Usa, nell’imminenza del voto, ha rinnovato l’ammorbidimento delle sanzioni voluto da Obama – misura che aveva promesso di cancellare in campagna elettorale.
Se Rohani può vendere quell’accordo, la riammissione dell’Iran nel consesso internazionale e un miglioramento della situazione economica, Raisi ha dalla sua la disoccupazione che resta molto alta specie tra i giovani e la mancata percezione degli effetti della crescita nelle zone periferiche del Paese. Gli effetti dell’ammorbidimento delle sanzioni non si percepiscono abbastanza e il voto è anche, molto, sullo stato dell’economia. Se a prevalere sarà lo scontento per una disoccupazione che resta a due cifre, sarà Raisi a spuntarla. Viceversa, verrà confermato Rouhani se la promessa di un’ulteriore apertura all’esterno, anche economica, convincerà gli iraniani.
Chi vincerà è molto difficile da prevedere: se nessuno dovesse arrivare al 50% si andrà al secondo turno. Un ruolo cruciale lo giocheranno le donne, che pesano poco nella politica istituzionale ma sono spesso molto attive come corpo elettorale. Rouhani ha fatto alcune abili mosse social per parlarci direttamente. Compresa una foto in montagna con due ragazze che non vestono in maniera tradizionale. Una foto di un comizio di Raisi con il pubblico separato tra maschi e femmine, ha invece fatto il giro dei social iraniani in senso negativo. A sua volta, il candidato conservatore si è fatto riprendere con un rapper tutto tatuato, Amir Tataloo, per ringiovanire la sua immagine. Questa è la prima campagna social e Telegram, quello più usato, ha 40 milioni di utenti attivi. In generale i toni usati sono stati meno abbottonati ed evocativi e più diretti che in passato. Ma i social, come abbiamo visto nel 2009 e durante la cosiddetta rivoluzione verde, non sono lo specchio del Paese. Nemmeno in Iran, dove i giovani under 30 sono il 60% della popolazione. Negli anni il candidato anti-establishment, ha scritto Trita Parsi su Foreign Affairs, ha sempre vinto le elezioni. Così è andata al riformatore ed ex presidente Khatami, dopo la rivolta del 2009 molto limitato nella possibilità di svolgere un ruolo, ad Ahmadinejad, che non era il favorito di Khamenei e correva contro Rafsanjani, e poi a Rouhani. Raisi è innegabilmente il candidato della cupola conservatrice religiosa e se Parsi avesse ragione, ci sarebbe da stare allegri. Cruciale per Rouhani sarà l’affluenza al voto.