La morte delle tre sorelle nel camper dato alle fiamme a Roma riapre la questione delle condizioni dei rom nel nostro Paese. Una storia che dal Dopoguerra a oggi è contrassegnata dalla segregazione nei campi e dalla negazione dell’identità di popolo.

Voi sapreste riconoscere un rom? Sono sporchi, loschi e puzzano, molti risponderanno. E se invece fossero puliti, per bene e profumati, allora come fareste? Perché sono “nomadi”? In un periodo di forti migrazioni e grandi povertà, molti lo sono. Le strade, per chi di voi volesse farci caso – salvo applicazione del decreto sicurezza di Minniti – , sono affollate di persone senza dimora ma con una provenienza. Potreste riconoscere, fra questi, i rom? E come, dai tratti somatici? E quali sarebbero? Assomigliano a indiani, kossovari, romeni o italiani?
E ancora. Siamo sicuri che rom e sinti non vivano nelle case? A voi, al momento della firma del contratto d’affitto di un’abitazione, è mai stata chiesta l’origine etnica o l’appartenenza culturale? Ovvero: vi hanno mai chiesto se siete rom? E al contrario: voi avete mai chiesto al vostro negoziante, al vostro medico o ad attori e musicisti nei camerini di qualche spettacolo se sono rom? E durante un colloquio?
No. Ed è giusto così. Non solo perché questa sfera appartiene a quei dati sensibili che compongono la dignità e dunque la riservatezza inviolabile di una persona, ma anche perché non farebbe differenza. La differenza la fa il comportamento, criminale o meno, di una persona. Comportamento che – spiace nel 2017 doverlo specificare – nulla ha che fare con l’etnia.
E dunque?

Italiani senza diritti
Per quanto drammatico, il rogo di Centocelle nel quale, la notte tra il 9 e il 10 maggio, sono morte due bambine di 4 e 8 anni e una ragazza di 20 – al netto delle indagini e del loro esito – non è l’ultimo in cui non solo muoiono bruciati dei bimbi, ma vengono alla luce le condizioni di vita disumane in cui una grossa fetta della popolazione si trova a vivere. Campi fatiscenti, pericolosi, e soprattutto isolati dalla società e della socialità. Campi che non dicono molto dell’identità rom, ma dicono molto della nostra. Perché raccontano che a noi gagé (non rom), va bene che nostri simili vivano nel fango, fra cimici, topi e immondizia, senza acqua e riscaldamento. Molti rom e sinti sono italiani, o meglio: molti italiani sono rom e sinti. Quindi spiace per Matteo Salvini, ma sono anche nostri concittadini, qualora questo facesse una qualche differenza umana. Sono concittadini per i quali, però, la Costituzione non viene applicata. Non viene evidentemente applicato l’articolo 3, in base al quale è fatto obbligo tutelare la dignità di ciascuno, senza distinzioni. Sempre secondo la Carta, è compito della Repubblica, «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Sarebbe dunque obbligo dei rappresentanti istituzionali, evitare la segregazione di queste persone e la loro estromissione dalla vita pubblica. Invece, governi nazionali e amministrazioni locali susseguitesi nel tempo, dal Dopoguerra a oggi, sono andati esattamente nella direzione opposta.

I campi
Sono gli anni ’60 e per costruirsi una nuova identità dopo aver scoperto di saper essere micidiale e disumana, l’Europa sente l’esigenza imprescindibile di un “repulisti civile”. Dopo le colpe della Seconda guerra mondiale, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e in Italia l’affermazione per volontà popolare della Repubblica e il varo della Costituzione, urge mettere in pratica quella civiltà che si vuole sentir di aver imparato. Cosa fare dunque di questa minoranza che per quanto si tenti di nascondere, continua a girovagare per i nostri comuni? La domanda diventa istituzionale. Una questione da risolvere

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Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.