Il grande pubblico, quello mainstream che arriva sempre in ritardo sulle cose, un po’ stanco e superficiale, sta cominciando ad appassionarsi al Jazz solo ora, dopo aver visto al cinema La La Land. Nella provincia d'Italia però qualche visionario si era accorto molto tempo fa del valore straordinario di questo genere musicale. A Ravenna per esempio sono già da molti anni tutti pazzi per il Jazz, quello vero, non quello hollywoodiano e patinato. E addirittura lo insegnano ai ragazzi nelle scuole con il progetto “Pazzi di Jazz”. Il risultato lo potete vedere nel video qui sotto: centinaia di ragazzi di tutte le età che suonano insieme sullo stesso palco con l'aiuto di insegnanti, professionisti e artisti affermati (vi dice nulla Paolo Fresu?); partecipano a lezioni-concerto per imparare la musica; studiano l'arte l’improvvisazione ed entrano in contatto diretto con le storie dei più grandi jazzisti di tutti tempi.
«Il Jazz è l’occasione per realizzare un mosaico di libertà» ha spiegato a Left Catia Gori, ideatrice del progetto insieme a Sandra Costantini, «e la musica è un elemento straordinario per potenziare l’educazione». Quando nasce questo progetto? Pazzi di Jazz nasce nel 2013 durante l’ascolto di un concerto di Maria Pia De Vito all’interno di una rassegna curata da Sandra Costantini direttore artistico di Ravenna Jazz e di Jazz Network. Oltre ad essere un’insegnante sono anche una cantante Jazz e quindi ho pensato: "perché non facciamo avvicinare i ragazzi al mondo del jazz realizzando un progetto che permetta alla cultura di entrare gratuitamente all’interno della scuola?" Sandra ha immediatamente raccolto la mia proposta. Il pubblico degli ascoltatori, soprattutto quando si parla di musica, è tutto da costruire... accade anche perché la musica non è un’arte adeguatamente sviluppata e valorizzata nelle istituzioni scolastiche. Partendo da questo concetto abbiamo cercato di coinvolgere più risorse possibili all’interno del nostro territorio, colleghi, insegnanti di musica. Fra questi in particolare un insegnante di una scuola media ad indirizzo musicale che si occupa e cura il lavoro artistico di una big band di giovani e che ha deciso di seguire questo nostro sogno e aiutarci a realizzare un percorso musicale legato al jazz che trovasse espressione sicuramente in un concert,o ma che avesse al suo interno anche dei racconti, delle lezioni-concerto, capaci di essere molto molto vicine ai ragazzi. Qual è l’idea di cultura che sta dietro a un’iniziativa come Pazzi di Jazz? La cultura secondo noi oltre ad essere gratuita deve entrare dentro la scuola, quando le ho proposto di realizzare qualcosa Sandra ha subito pensato di contattare immediatamente Paolo Fresu. Paolo oltre ad essere un musicista straordinario è una persona straordinaria e ha colto immediatamente il senso, il valore e la cura di questo progetto legato ai bambini e ai ragazzi. Entrare direttamente dentro le scuole e raccontare con la sua tromba la vita dei musicisti jazz è stata la chiave del successo educativo di tutto questo. La ricaduta culturale all’interno delle scuole è stata enorme. Si è creato un gruppo di persone che si sono trovate così a lavorare insieme, dapprima con poche risorse, poi ottenendo sempre un maggior consenso. È stata una piccola rivoluzione, poco a poco le persone prese dall’entusiasmo hanno cominciato a seguirci creando un vero e proprio tam tam. Da un centinaio di studenti siamo arrivati a un seguito di migliaia e migliaia di persone, ragazzi, genitori, insegnanti, musicisti, artisti. Ai progetti hanno iniziato a partecipare sia i bambini della scuola primaria, come i miei alunni che all’epoca frequentavano la seconda elementare, ma anche adolescenti, studenti liceali, universitari provenienti da tutto il territorio dell’Emilia Romagna. A noi interessava che il messaggio che stavamo lanciando venisse condiviso dal maggior numero di persone possibile, che si cominciasse a conoscere di più il jazz come modo di guardare al mondo: imparare a lavorare e stare insieme, a improvvisare anche. Il jazz infatti insegna anche il valore dell’improvvisazione. Perché è così importante? Quando parlo di improvvisare intendo l’imparare a dare il meglio di sé in un contesto collettivo. Questo è un principio vitale e secondo noi è anche stato uno dei motivi che hanno garantito un successo incredibile al progetto. Ma non semplicemente un successo in termini musicali e di ricaduta in termini di visibilità sul piano del concerto, ma soprattutto un successo in termini educativi e di capacità di coinvolgimento delle associazioni e degli artisti del territorio che hanno organizzato eventi e mostre sul Jazz. Abbiamo messo insieme un sacco di utenza, cittadini, famiglie, pensionati, insegnanti, scuole, insomma si sono attivati davvero in tanti. Che ricadute ha avuto sul territorio tutto questo? All’interno della città ormai Pazzi di Jazz è un appuntamento molto importante e molto partecipato. Soprattutto è un progetto culturale gratuito che riesce a coinvolgere realtà sociali differenti e con esigenze differenti. Riusciamo a cucire insieme in un’unica partitura le scuole del centro con quelle della periferia che a volte presentano anche situazioni di disagio o di difficoltà. Abbiamo portato in teatro in città circa 70 bambini provenienti da zone più complicate che erano più abituati a vedere l’ingresso delle case sociali o dei carceri che un teatro. Per loro è stata un esperienza straordinaria. E anche per molti insegnanti che si sono sentiti parte di un progetto culturale serio e molto alto che ha ottenuto anche il riconoscimento della Presidenza della Repubblica. Essendo gratuito come riuscite a realizzare tutto questo? Beh, ogni anno è molto difficile riuscire a trovare fondi e risorse per poterlo portare avanti… ma ce la stiamo facendo con le unghie e con i denti… Qual è la potenzialità educativa del linguaggio del Jazz per i ragazzi? Intanto non è un linguaggio accademico e imbalsamato. È un linguaggio estremamente dinamico nel quale bisogna saper padroneggiare alla perfezione il tema che si sta eseguendo, per poi poter dare un’interpretazione personale di quello stesso tema in cui non esiste più qualcosa di giusto o di sbagliato, ma esiste piuttosto qualcosa di contestuale a quello che si sta facendo. Riproporre qualcosa che si è studiato attraverso una propria rielaborazione è sicuramente un arricchimento personale. Ecco, il messaggio che il Jazz insegna è che si può improvvisare qualcosa solo se la si conosce molto bene. In questo genere musicale c’è un concetto di libertà che non ha nulla a che vedere con la confusione e il caos. In questo sta la capacità aggregante del Jazz. E poi ci sono le storie di vita dei jazzisti, anche quelle hanno un forte impatto educativo. Certo grazie a Francesco Martinelli, storico del jazz, siamo riusciti a raccontare ai ragazzi la vita di molti artisti. Da Cole Porter a Ella Fitzgerald fino a Dizzy Gillespie. Si spiega ai bambini che ciascuno di noi suona per ciò che è, questo è il concetto principale che riusciamo a trasmettere. Non c’è la rigidità del pentagramma o del solfeggio, qui l’opera è la realizzazione di ciò che si sta facendo. Quali sono i musicisti che piacciono di più ai ragazzi? Paolo Fresu è molto amato dai bambini, in tantissimi vedendo lui chiedono di poter suonare la tromba e gli strumenti a fiato come il Sax e il trombone. È piaciuta tantissimo la figura del trombettista Dizzy Gillespie, soprattutto perché è stato presentato con queste gote gonfie e i più piccoli l’hanno percepito come una figura molto giocosa. Ma anche Cole Porter ha fatto breccia. I bambini sono estremamente colpiti dalle loro vite, soprattutto dagli aspetti legati all’emarginazione, alla solitudine, ma anche da quel senso del riscatto che si ritrova nelle biografie di molti di questi personaggi. In una scuola della provincia abbiamo lavorato su Django Reinhardt, jazzista belga di etnia sinti, raccontando quindi anche il suo essere uno zingaro. Un giorno uno dei bambini, con tono dispregiativo, ha dato dello zingaro a un suo compagno, questo che aveva ascoltato la lezione di Francesco Martinelli su Django, lo ha guardato senza scomporsi e gli ha risposto: «Tu non sai cosa stai dicendo, lo conosci Django Reinhardt? Se sapessi chi è sapresti che zingaro non è un’offesa, anzi io sarei orgoglioso di essere come lui».

Il grande pubblico, quello mainstream che arriva sempre in ritardo sulle cose, un po’ stanco e superficiale, sta cominciando ad appassionarsi al Jazz solo ora, dopo aver visto al cinema La La Land. Nella provincia d’Italia però qualche visionario si era accorto molto tempo fa del valore straordinario di questo genere musicale. A Ravenna per esempio sono già da molti anni tutti pazzi per il Jazz, quello vero, non quello hollywoodiano e patinato. E addirittura lo insegnano ai ragazzi nelle scuole con il progetto “Pazzi di Jazz”. Il risultato lo potete vedere nel video qui sotto: centinaia di ragazzi di tutte le età che suonano insieme sullo stesso palco con l’aiuto di insegnanti, professionisti e artisti affermati (vi dice nulla Paolo Fresu?); partecipano a lezioni-concerto per imparare la musica; studiano l’arte l’improvvisazione ed entrano in contatto diretto con le storie dei più grandi jazzisti di tutti tempi.

«Il Jazz è l’occasione per realizzare un mosaico di libertà» ha spiegato a Left Catia Gori, ideatrice del progetto insieme a Sandra Costantini, «e la musica è un elemento straordinario per potenziare l’educazione».

Quando nasce questo progetto?
Pazzi di Jazz nasce nel 2013 durante l’ascolto di un concerto di Maria Pia De Vito all’interno di una rassegna curata da Sandra Costantini direttore artistico di Ravenna Jazz e di Jazz Network. Oltre ad essere un’insegnante sono anche una cantante Jazz e quindi ho pensato: “perché non facciamo avvicinare i ragazzi al mondo del jazz realizzando un progetto che permetta alla cultura di entrare gratuitamente all’interno della scuola?” Sandra ha immediatamente raccolto la mia proposta. Il pubblico degli ascoltatori, soprattutto quando si parla di musica, è tutto da costruire… accade anche perché la musica non è un’arte adeguatamente sviluppata e valorizzata nelle istituzioni scolastiche. Partendo da questo concetto abbiamo cercato di coinvolgere più risorse possibili all’interno del nostro territorio, colleghi, insegnanti di musica. Fra questi in particolare un insegnante di una scuola media ad indirizzo musicale che si occupa e cura il lavoro artistico di una big band di giovani e che ha deciso di seguire questo nostro sogno e aiutarci a realizzare un percorso musicale legato al jazz che trovasse espressione sicuramente in un concert,o ma che avesse al suo interno anche dei racconti, delle lezioni-concerto, capaci di essere molto molto vicine ai ragazzi.
Qual è l’idea di cultura che sta dietro a un’iniziativa come Pazzi di Jazz?
La cultura secondo noi oltre ad essere gratuita deve entrare dentro la scuola, quando le ho proposto di realizzare qualcosa Sandra ha subito pensato di contattare immediatamente Paolo Fresu. Paolo oltre ad essere un musicista straordinario è una persona straordinaria e ha colto immediatamente il senso, il valore e la cura di questo progetto legato ai bambini e ai ragazzi. Entrare direttamente dentro le scuole e raccontare con la sua tromba la vita dei musicisti jazz è stata la chiave del successo educativo di tutto questo. La ricaduta culturale all’interno delle scuole è stata enorme. Si è creato un gruppo di persone che si sono trovate così a lavorare insieme, dapprima con poche risorse, poi ottenendo sempre un maggior consenso. È stata una piccola rivoluzione, poco a poco le persone prese dall’entusiasmo hanno cominciato a seguirci creando un vero e proprio tam tam. Da un centinaio di studenti siamo arrivati a un seguito di migliaia e migliaia di persone, ragazzi, genitori, insegnanti, musicisti, artisti. Ai progetti hanno iniziato a partecipare sia i bambini della scuola primaria, come i miei alunni che all’epoca frequentavano la seconda elementare, ma anche adolescenti, studenti liceali, universitari provenienti da tutto il territorio dell’Emilia Romagna. A noi interessava che il messaggio che stavamo lanciando venisse condiviso dal maggior numero di persone possibile, che si cominciasse a conoscere di più il jazz come modo di guardare al mondo: imparare a lavorare e stare insieme, a improvvisare anche.
Il jazz infatti insegna anche il valore dell’improvvisazione. Perché è così importante?
Quando parlo di improvvisare intendo l’imparare a dare il meglio di sé in un contesto collettivo. Questo è un principio vitale e secondo noi è anche stato uno dei motivi che hanno garantito un successo incredibile al progetto. Ma non semplicemente un successo in termini musicali e di ricaduta in termini di visibilità sul piano del concerto, ma soprattutto un successo in termini educativi e di capacità di coinvolgimento delle associazioni e degli artisti del territorio che hanno organizzato eventi e mostre sul Jazz. Abbiamo messo insieme un sacco di utenza, cittadini, famiglie, pensionati, insegnanti, scuole, insomma si sono attivati davvero in tanti.
Che ricadute ha avuto sul territorio tutto questo?
All’interno della città ormai Pazzi di Jazz è un appuntamento molto importante e molto partecipato. Soprattutto è un progetto culturale gratuito che riesce a coinvolgere realtà sociali differenti e con esigenze differenti. Riusciamo a cucire insieme in un’unica partitura le scuole del centro con quelle della periferia che a volte presentano anche situazioni di disagio o di difficoltà. Abbiamo portato in teatro in città circa 70 bambini provenienti da zone più complicate che erano più abituati a vedere l’ingresso delle case sociali o dei carceri che un teatro. Per loro è stata un esperienza straordinaria. E anche per molti insegnanti che si sono sentiti parte di un progetto culturale serio e molto alto che ha ottenuto anche il riconoscimento della Presidenza della Repubblica.
Essendo gratuito come riuscite a realizzare tutto questo?
Beh, ogni anno è molto difficile riuscire a trovare fondi e risorse per poterlo portare avanti… ma ce la stiamo facendo con le unghie e con i denti…
Qual è la potenzialità educativa del linguaggio del Jazz per i ragazzi?
Intanto non è un linguaggio accademico e imbalsamato. È un linguaggio estremamente dinamico nel quale bisogna saper padroneggiare alla perfezione il tema che si sta eseguendo, per poi poter dare un’interpretazione personale di quello stesso tema in cui non esiste più qualcosa di giusto o di sbagliato, ma esiste piuttosto qualcosa di contestuale a quello che si sta facendo. Riproporre qualcosa che si è studiato attraverso una propria rielaborazione è sicuramente un arricchimento personale. Ecco, il messaggio che il Jazz insegna è che si può improvvisare qualcosa solo se la si conosce molto bene. In questo genere musicale c’è un concetto di libertà che non ha nulla a che vedere con la confusione e il caos. In questo sta la capacità aggregante del Jazz.
E poi ci sono le storie di vita dei jazzisti, anche quelle hanno un forte impatto educativo.
Certo grazie a Francesco Martinelli, storico del jazz, siamo riusciti a raccontare ai ragazzi la vita di molti artisti. Da Cole Porter a Ella Fitzgerald fino a Dizzy Gillespie. Si spiega ai bambini che ciascuno di noi suona per ciò che è, questo è il concetto principale che riusciamo a trasmettere. Non c’è la rigidità del pentagramma o del solfeggio, qui l’opera è la realizzazione di ciò che si sta facendo.
Quali sono i musicisti che piacciono di più ai ragazzi?
Paolo Fresu è molto amato dai bambini, in tantissimi vedendo lui chiedono di poter suonare la tromba e gli strumenti a fiato come il Sax e il trombone. È piaciuta tantissimo la figura del trombettista Dizzy Gillespie, soprattutto perché è stato presentato con queste gote gonfie e i più piccoli l’hanno percepito come una figura molto giocosa. Ma anche Cole Porter ha fatto breccia. I bambini sono estremamente colpiti dalle loro vite, soprattutto dagli aspetti legati all’emarginazione, alla solitudine, ma anche da quel senso del riscatto che si ritrova nelle biografie di molti di questi personaggi. In una scuola della provincia abbiamo lavorato su Django Reinhardt, jazzista belga di etnia sinti, raccontando quindi anche il suo essere uno zingaro. Un giorno uno dei bambini, con tono dispregiativo, ha dato dello zingaro a un suo compagno, questo che aveva ascoltato la lezione di Francesco Martinelli su Django, lo ha guardato senza scomporsi e gli ha risposto: «Tu non sai cosa stai dicendo, lo conosci Django Reinhardt? Se sapessi chi è sapresti che zingaro non è un’offesa, anzi io sarei orgoglioso di essere come lui».