Il partito conservatore britannico è in guerra contro il welfare pubblico e il suo manifesto elettorale contiene dei passaggi che lo dimostrano. E che, sembra di capire, gli costeranno voti e seggi alle elezioni del prossimo 8 giugno.

Il manifesto presentato la scorsa settimana contiene una proposta, soprannominata dai laburisti “tassa sulla demenza” (ma anche tassa demente) che farà aumentare di molto le spese per i ricoveri in case famiglia e di assistenza domiciliare agli anziani con un meccanismo che colpirà loro e le loro famiglie - c’è un prelievo sulla casa di proprietà che lo Stato farebbe alla morte della persona assistita. La proposta sembra disegnata per colpire la base più solida dell’elettorato Tory, gli anziani del ceto medio. Per i più poveri, infatti, i costi non cambiano. Un errore clamoroso contro il quale c’è una rivolta in atto tra i deputati del partito che si troveranno a dover difendere la “dementia tax” davanti al loro elettorato furioso. Tra le altre cose il programma conservatore prevede anche un ridimensionamento del bonus per il riscaldamento, misura altrettanto impopolare.

La misura, sembra di capire, non è stata discussa tra i maggiorenti del partito ed è stata aggiunta al manifesto elettorale all’ultimo momento da Nick Timothy, il capo dello staff di Theresa May. Che oggi, dopo pressioni crescenti, ha annunciato durante un comizio in Galles che il piano verrà ripensato e verranno ritoccati i limiti di spesa - ovvero si ridurranno i costi previsti.

Quello della “tassa sulla demenza” è davvero un errore strategico se è vero che negli ultimi giorni il partito Laburista di Jeremy Corbyn ha recuperato diversi punti. L’ultimo sondaggio parla di un gap di 9 punti. È la prima volta dal referendum sulla Brexit che i sondaggi parlano di meno di 10 punti di distacco. Che sono comunque un’enormità. Oggi i Laburisti sono dai al 34% e i conservatori al 43%. Nel 2015 il distacco era minore, ma il partito guidato da Ed Milliband prese il 30%. In questo caso è il crollo dell’Ukip a favorire il partito di Theresa May: dopo la vittoria sulla Brexit e l’assunzione dei toni e della retoria anti-europea da parte della premier britannica, il partito un tempo guidato da Nigel Farage ha perso molto del proprio senso. Allo stato, dunque, May ha ogni chance di vincere le elezioni. Ma il voto non spazzerà via del tutto Corbyn, nel senso che il suo risultato potrebbe essere nettamente migliore di quello ottenuto dal suo predecessore e di ogni previsione. Del resto l’insuccesso laburista non si può imputare al solo leader: nelle fila del partito non c’è nessun leader naturale potenziale pronto a sostituirlo e tutti i partiti socialisti d’Europa hanno collezionato sconfitte pesanti nelle ultime tornate elettorali - il Pasok è scomparso, il partito socialista francese pure, quello spagnolo è in enorme difficoltà e Martin Schulz non sembra avere chance di impedire a Angela Merkel di vincere le elezioni per la quarta volta consecutiva. Da ultimo, i sondaggi segnalano un ritorno dell'elettorato ai due grandi partiti: nel 2015 meno del 70% li votò, oggi siamo quasi all'80%.

Non è un caso che i conservatori stiano scegliendo la strada degli attacchi personali contro il leader Labour. L’ultimo è relativo a una frase sbagliata sull’IRA: Corbyn ha detto che tutte le bombe sono sbagliate invece di condannare l’esercito repubblicano irlandese in maniera palese. Il tipico autogol alla Corbyn, che troppo spesso rimane fedele a se stesso e a formule del passato che avevano molto senso negli anni della sua formazione e del thatcherismo ma ne hanno molto meno adesso. Un po’ di furbizia politica a volte non guasta.

 

Dalla sua il leader laburista ha la grande capacità di fare campagna alla vecchia maniera: i suoi comizi sono gremiti (come vedete qui sopra), molto spesso di giovani. Quella fu la sua base quando vinse la corsa per la leadership del suo partito. Resta da vedere se e quanto l’elettorato giovane e le minoranze sapranno andare alle urne per sostenere i laburisti. A oggi i conservatori hanno una maggioranza di 12 seggi e May ne cerca una più solida per avere un mandato forte per i negoziati sulla Brexit (mandato che non cambierebbe le cose, dicono a Bruxelles). Il sistema maggioritario britannico confrontato con sondaggi nazionali, non ci dice molto della composizione dei Comuni dopo il voto. Quanti seggi riuscirà a tenere con questi voti il Labour? E quanti i conservatori? Ci sono luoghi in cui un effetto Ukip consentirà al partito di Corbyn di strappare seggi insperati?  In queste settimane Corbyn ha recuperato parecchio terreno, difficilmente sarà abbastanza per indebolire May (con il concorso dei Lib-Dem e dello Scottish National Party). Ma la sua performance non sarà poi così disastrosa come ci si diceva quando May ha convocato le elezioni straordinarie a sorpresa.

Il partito conservatore britannico è in guerra contro il welfare pubblico e il suo manifesto elettorale contiene dei passaggi che lo dimostrano. E che, sembra di capire, gli costeranno voti e seggi alle elezioni del prossimo 8 giugno.

Il manifesto presentato la scorsa settimana contiene una proposta, soprannominata dai laburisti “tassa sulla demenza” (ma anche tassa demente) che farà aumentare di molto le spese per i ricoveri in case famiglia e di assistenza domiciliare agli anziani con un meccanismo che colpirà loro e le loro famiglie – c’è un prelievo sulla casa di proprietà che lo Stato farebbe alla morte della persona assistita. La proposta sembra disegnata per colpire la base più solida dell’elettorato Tory, gli anziani del ceto medio. Per i più poveri, infatti, i costi non cambiano. Un errore clamoroso contro il quale c’è una rivolta in atto tra i deputati del partito che si troveranno a dover difendere la “dementia tax” davanti al loro elettorato furioso. Tra le altre cose il programma conservatore prevede anche un ridimensionamento del bonus per il riscaldamento, misura altrettanto impopolare.

La misura, sembra di capire, non è stata discussa tra i maggiorenti del partito ed è stata aggiunta al manifesto elettorale all’ultimo momento da Nick Timothy, il capo dello staff di Theresa May. Che oggi, dopo pressioni crescenti, ha annunciato durante un comizio in Galles che il piano verrà ripensato e verranno ritoccati i limiti di spesa – ovvero si ridurranno i costi previsti.

Quello della “tassa sulla demenza” è davvero un errore strategico se è vero che negli ultimi giorni il partito Laburista di Jeremy Corbyn ha recuperato diversi punti. L’ultimo sondaggio parla di un gap di 9 punti. È la prima volta dal referendum sulla Brexit che i sondaggi parlano di meno di 10 punti di distacco. Che sono comunque un’enormità. Oggi i Laburisti sono dai al 34% e i conservatori al 43%. Nel 2015 il distacco era minore, ma il partito guidato da Ed Milliband prese il 30%. In questo caso è il crollo dell’Ukip a favorire il partito di Theresa May: dopo la vittoria sulla Brexit e l’assunzione dei toni e della retoria anti-europea da parte della premier britannica, il partito un tempo guidato da Nigel Farage ha perso molto del proprio senso. Allo stato, dunque, May ha ogni chance di vincere le elezioni. Ma il voto non spazzerà via del tutto Corbyn, nel senso che il suo risultato potrebbe essere nettamente migliore di quello ottenuto dal suo predecessore e di ogni previsione. Del resto l’insuccesso laburista non si può imputare al solo leader: nelle fila del partito non c’è nessun leader naturale potenziale pronto a sostituirlo e tutti i partiti socialisti d’Europa hanno collezionato sconfitte pesanti nelle ultime tornate elettorali – il Pasok è scomparso, il partito socialista francese pure, quello spagnolo è in enorme difficoltà e Martin Schulz non sembra avere chance di impedire a Angela Merkel di vincere le elezioni per la quarta volta consecutiva. Da ultimo, i sondaggi segnalano un ritorno dell’elettorato ai due grandi partiti: nel 2015 meno del 70% li votò, oggi siamo quasi all’80%.

Non è un caso che i conservatori stiano scegliendo la strada degli attacchi personali contro il leader Labour. L’ultimo è relativo a una frase sbagliata sull’IRA: Corbyn ha detto che tutte le bombe sono sbagliate invece di condannare l’esercito repubblicano irlandese in maniera palese. Il tipico autogol alla Corbyn, che troppo spesso rimane fedele a se stesso e a formule del passato che avevano molto senso negli anni della sua formazione e del thatcherismo ma ne hanno molto meno adesso. Un po’ di furbizia politica a volte non guasta.

 

Dalla sua il leader laburista ha la grande capacità di fare campagna alla vecchia maniera: i suoi comizi sono gremiti (come vedete qui sopra), molto spesso di giovani. Quella fu la sua base quando vinse la corsa per la leadership del suo partito. Resta da vedere se e quanto l’elettorato giovane e le minoranze sapranno andare alle urne per sostenere i laburisti. A oggi i conservatori hanno una maggioranza di 12 seggi e May ne cerca una più solida per avere un mandato forte per i negoziati sulla Brexit (mandato che non cambierebbe le cose, dicono a Bruxelles). Il sistema maggioritario britannico confrontato con sondaggi nazionali, non ci dice molto della composizione dei Comuni dopo il voto. Quanti seggi riuscirà a tenere con questi voti il Labour? E quanti i conservatori? Ci sono luoghi in cui un effetto Ukip consentirà al partito di Corbyn di strappare seggi insperati?  In queste settimane Corbyn ha recuperato parecchio terreno, difficilmente sarà abbastanza per indebolire May (con il concorso dei Lib-Dem e dello Scottish National Party). Ma la sua performance non sarà poi così disastrosa come ci si diceva quando May ha convocato le elezioni straordinarie a sorpresa.