La settimana scorsa escludeva un "Nazareno bis", adesso Berlusconi apre a un accordo: un sistema tedesco (che non è così lontano dal Rosatellum) in cambio del voto in ottobre. Il capogruppo dem Ettore Rosato sorride: «Il voto anticipato non è certo un tabù se si fa una legge prima dell'estate»

Che la prudenza non è mai troppa ce lo ricorda lo stesso Silvio Berlusconi che oggi riapre formalmente la trattativa con Pd sulla legge elettorale (vuole un modello tedesco e mette sul piatto, in cambio, il voto a ottobre) e che solo la settimana scorsa, però, diceva che margini per un «Nazareno bis» no, non c’erano proprio. Volubile è Silvio, e non solo lui: la trattativa per la nuova legge elettorale, che dovrebbe sostituire ciò che resta dell’Italicum e ciò che, al Senato, resta del Porcellum, è piena di curve – come vi raccontiamo d’altronde sul numero di Left, il 20, che trovate in edicola.

Lo stato dell’arte, però, al momento, è questo. Il Pd ha presentato una sua proposta, ribattezzata “Rosatellum” dal nome del capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, e su quella si è detto intenzionato ad andare alla conta, sicuro del sostegno – fra gli altri – di Denis Verdini. I numeri però sono stretti (anzi sono bassi) e – registrati i primi no dei bersaniani – il dialogo con Berlusconi è dunque prezioso. Berlusconi lo sa – sa che il suo prezzo è salito col no di Speranza – e quindi apre, ritorna. Ma propone qualcosa di diverso (e, per certi versi, di migliore, almeno nei termini di un maggior rapporto tra eletto e elettore).

In attesa dell’ennesima sorpresa e degli sviluppi, può esser allora interessante fare un punto sulle due proposte, anche se quella di Berlusconi è solo un vago riferimento esterofilo.

Il Rosatellum – come abbiamo scritto – è spacciata per una legge “metà maggioritaria e metà proporzionale”, visto che metà dei seggi sono assegnati in collegi uninominali e metà con calcolo proporzionale. In realtà, però, è una legge molto maggioritaria (perché non prevede alcuno scorporo tra la quota uninominale e quella proporzionale, e anzi prevede un voto su unica scheda con l’impossibilità quindi di un voto disgiunto), con i seggi maggioritari assegnati senza ballottaggio e con quelli proporzionali dati su listini bloccati, senza preferenze. Il modello tedesco, tanto per cominciare, nonostante il sistema sia simile (sempre 50 per cento uninominale e 50 per cento proporzionale) prevede invece due schede, limitando di molto, così, le conseguenze dell’inevitabile “voto utile” che l’uninominale porta con sé e che così si riflette meno sulla quota proporzionale. Quota proporzionale che, peraltro, è soggetta al celebre scorporo: si sottraggono, in pratica, i seggi ottenuti con l’uninominale a quelli che un partito conquista nel proporzionale (a cui si accede comunque con uno sbarramento del 5 per cento, come col Rosatellum).

Comunque. Oltre alle differenze tecniche – che vedremo nel dettaglio se ce ne sarà veramente bisogno – per ora vanno sottolineate le implicazioni politiche. Buono (conosce la materia) è il punto di Augusto Minzolini. «In sintesi», scrive sul Giornale, «Renzi risparmia al Cav una legge elettorale che potrebbe danneggiarlo» – il Rosatellum – «Berlusconi evita al segretario del Pd un calendario che potrebbe penalizzarlo». Eh già, perché a nessun commentatore è sfuggito quanto messo sul piatto da Berlusconi e, soprattutto, le reazioni dei dem, preoccupati sì che «sia un bluff», ma affascinati dalla tempistica. Sulla Stampa Ettore Rosato – ed è la prima volta che lo si dice così apertamente, lasciando quasi intravedere un sorriso – dice: «Il voto anticipato non è certo un tabù: può essere l’epilogo naturale di una legge fatta con attenzione, ma anche senza perdere più tempo, prima dell’estate. Consentire a un nuovo governo di fare la legge di bilancio, impostando il suo mandato nei prossimi cinque anni sarebbe più logico. Del resto, tutti i grandi paesi stanno per votare: e avere un governo nel pieno delle sue funzioni per costruire il futuro dell’Europa con il nuovo esecutivo francese e tedesco, sarebbe meglio».

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.