C’è un malessere profondo dietro la scelta deliberata di alcuni giovani di tagliarsi. Per ritrovare il corpo, per “sentire qualcosa”. Come riconoscere i primi segni di questa patologia? Come prevenire? Lo abbiamo chiesto ad una delle autrici di Autolesionismo

Il ragazzo è cambiato, non è più lo stesso, è svogliato, ha crisi incontrollabili di rabbia, non gli importa più di nulla, non studia, fa casino, è chiuso in se stesso, si droga e poi…si taglia. Così lo psicoterapeuta sente dire ai genitori che hanno portato il giovane nel suo studio. Negli ultimi anni la psichiatria ha assistito allo sviluppo di un inquietante fenomeno clinico, per lo più giovanile: il Cutting, termine inglese che deriva dal verbo to Cut (tagliare, ferire). Ragazzi giovanissimi, a volte ancora bambini, si feriscono la pelle delle braccia o di altre parti del corpo come se questo gesto li aiutasse a sopportare una disperazione insostenibile. Utilizzano per lo più lamette, nel 57 per cento dei casi, ma anche forbicine, lame del temperino, coltelli e altri oggetti taglienti. Non è una moda, come spessissimo si sente dire, né un modo per attirare l’attenzione. Infatti, nella maggior parte dei casi, i Cutters, sono ben attenti a nascondere i tagli con maglie a maniche lunghe anche quando il caldo dell’estate porterebbe a scoprirsi. Non siamo di fronte a capricci adolescenziali ma ad una vera e propria patologia mentale.

Psichiatri e psicologi psicoterapeuti hanno sempre dovuto confrontarsi con la violenza presente nella patologia psichica, violenza che può rimanere un aspetto psicologico espresso in termini di freddezza, anaffettività, aggressività verbale, odio o con gesti e comportamenti distruttivi contro se stessi o contro gli altri. Se parliamo di autodistruttività pensiamo subito all’uso e all’abuso di alcool e droghe, a comportamenti alimentari patologici, al gioco d’azzardo, alla guida spericolata, ai tentativi di suicidio e così via. 

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