La notizia è approdata anche sui telegiornali nazionali. Nell’assordante silenzio degli storici dell’arte, restii a pronunciarsi apertamente dopo lo smacco ricevuto dalla nota vicenda delle teste ripescate nel Fosso Mediceo di Livorno nel 1984

Il  pubblico che affolla le sale di Palazzo Ducale a Genova, per ammirare l’inarrivabile fascino delle opere di Amedeo Modigliani, potrebbe trovarsi di fronte a più d’un falso. Naturalmente e comprensibilmente senza essere in grado di riconoscerlo. Una beffa, l’ennesima in nome del più imitato tra gli artisti moderni. Dopo essere stata battuta dall’Ansa, la notizia è approdata anche sui telegiornali nazionali. Nell’assordante silenzio degli storici dell’arte, restii a pronunciarsi apertamente dopo lo smacco ricevuto dalla nota vicenda delle teste ripescate nel Fosso Mediceo di Livorno (1984), hanno risuonato forti le voci di Carlo Pepi e di Marc Restellini, autori della denuncia. Il primo è già noto alla cronaca italiana, perché anche 33 anni fa aveva sostenuto con assoluta certezza l’inattendibilità dei manufatti ripescati dalle acque del Fosso; collezionista infaticabile e sensibilissimo conoscitore, Pepi è una personalità le cui doti le università estere non hanno esitato a riconoscere, mentre in Italia – benché fondatore della Casa Natale Modigliani e collaboratore degli Archivi Legali Modigliani per volontà della stessa figlia dell’artista – egli ha potuto far valere le sue posizioni sull’autenticità delle opere del livornese, progressivamente comparse sul mercato dell’arte, solo dando le dimissioni da entrambe le istituzioni e proseguendo una battaglia tanto personale e solitaria quanto piena di successi. Il secondo, invece, è uno storico dell’Arte e curatore francese, uno dei massimi specialisti di Modì; direttore artistico del Museo del Lussemburgo dal 2000 al 2003, ha curato una grande retrospettiva di Modigliani nel 2002, raccogliendo ben 110 opere del maestro. Il suo nome resta però legato all’edizione del catalogo ragionato delle opere di Modigliani, realizzato con criteri del tutto inediti, cui Restellini sta lavorando dal 1997, prima in collaborazione con il Wildenstein Institute, poi in maniera autonoma. Nel 2003 fonda la Pinacothèque de Paris e l’Istituto Restellini: due luoghi importanti nell’attuale panorama culturale francese, dove egli mette in pratica un approccio curatoriale indipendente e interdisciplinare, affrancato dalle richieste del mercato dell’arte, in grado di unire l’analisi stilistica con le più recenti tecnologie diagnostiche e informatiche, fuse all’interno di uno studio comparativo, che il più delle volte recupera con estrema precisione i dati necessari all’autenticazione di un’opera d’arte. Perché, al di là dell’affair Modigliani, il problema è: come riconoscere e godere di un’opera d’arte autentica, soprattutto oggi che le tecniche dei falsari si sono raffinate e i borsini degli artisti determinano vere e proprie fortune? Possiamo rassicurare il cultore d’arte, il pubblico curioso e attento, lo spettatore convinto che l’arte non sia accessoria alla vita: il sistema c’è. È presente innanzi tutto nella nostra tradizione di studi, quella che affida l’attribuzione all’occhio raffinato, esperto e sincero del conoscitore filologo, colui che coglie da un lato il tratto autoriale infalsificabile, anche nelle sfumature apparentemente insignificanti, dall’altro sa e riesce a inserire qualsiasi opera nella giusta serie di relazioni – interne ed esterne – non dimenticando mai che l’opera d’arte è un sistema. Su questa strada incontriamo nomi che dall’ottocentesco Morelli vanno fino a Roberto Longhi, Massimo Previtali, il mai abbastanza citato Giovanni Romano, naturalmente Carlo Pepi e chi ancora crede nel potenziale sensibile e nel rigore metodologico della storia dell’arte. Poi, non meno utile è la scienza: indagini chimiche e radiografiche oggi supportate dalla tecnologia digitale, certo, ma anche qualcosa di più; in questo Marc Restellini è un pioniere. Attraverso il raffronto tra il maggior numero possibile di dati scientifici ottenuti da risonanze magnetiche, sensori a infrarossi, digitalizzazione dei colori contraffatti nelle opere attribuite a un autore, autentiche ma anche dichiaratamente false, egli è stato in grado di stabilire una calibratura di paradigmi attributivi certi, da cui ha desunto un protocollo per l’esame non invasivo dei pigmenti; i risultati, uniti all’analisi stilistica, sono decisamente soddisfacenti. Insomma, in attesa che siano svolte le indagini per il reato di “Violazione dei beni culturali e paesaggistici”, possiamo riflettere su quanto sia in pericolo il nostro patrimonio ma anche la nostra intelligenza, se non volgiamo la nostra attenzione al valore sempre politico e divergente dell’arte, anche quando di questa soltanto si parla. Diffidare dalle celebrazioni.