Il Labour non era mai andato così vicino alla vittoria. Grazie a una campagna elettorale chiara e un programma contro le diseguaglianze. La sinistra per vincere non deve guardare al centro

«La lotta vera inizia ora». Owen Jones, opinionista del Guardian cita il tweet di Jeremy Corbyn a conclusione del suo pezzo di oggi sull’autorevole giornale inglese che ha preso posizione a favore del Labour e del suo segretario dalla barba bianca. Una lezione dalla Gran Bretagna che potrebbe servire non solo alla sinistra europea ma anche a quella italiana, adesso più mai alle prese con il proprio futuro. La coerenza e l’impegno con i quali il capo del Labour ha portato avanti la sua battaglia contro le diseguaglianze lo ha premiato. Niente terza via blairiana, niente compromessi, ma un programma chiaro e controcorrente.

Il governo fragile di May

Dopo la Brexit ecco dunque che un altro scossone ha investito la Gran Bretagna. E anche in questo caso a fare la figuraccia sono esponenti dei Tories: dopo Cameron che aveva lanciato un anno fa il referendum su Leave e Remain e la relativa capitolazione con dimissioni un mese dopo, adesso tocca a Theresa May che aveva preso il suo posto e che, sperando di consolidare il suo potere, ha anticipato le elezioni all’8 giugno. Ma le è andata decisamente male e i britannici hanno punito il partito conservatore anche per la Brexit. È vero, Theresa May governerà ancora, ha detto, dopo essersi recata al tradizionale incontro, questa volta brevissimo, con la Regina. Lo farà grazie all’appoggio dei dieci seggi del Democratic Unionisti Party irlandese. Ma il suo governo sarà decisamente più debole e quando si andrà a trattare per le modalità della Brexit ai negoziati di Bruxelles il 19 giugno, peserà il risultato elettorale.

Il successo del Labour

Il Labour, invece, era dai tempi di Blair che non riscuoteva un così grande successo. C’è stata una sinergia generale. Infatti in molti casi gli elettori britannici hanno votato il partito liberale proprio per far perdere il candidato conservatore nel seggio dove magari quello laburista non era così sicuro.
Le cifre parlano da sole: il partito conservatore ha perso 12 seggi, invece dei 330 ne ha presi 318 , il Labour 261 e ne ha presi in più 31. Il partito conservatore ha preso 13.650.918 mentre il Labour segue a ruota con 12.858.644 preferenze, meno di un milione di voti. Anche l’affluenza è stata altissima, il 69%, una percentuale che non si verificava negli ultimi 20 anni.

La campagna «per i molti non per i pochi»

«La gente ha detto di averne abbastanza della politica di austerità, dei tagli alla spesa pubblica, alla sanità, alle nostre scuole e al servizio educativo – ha detto Corbyn poche ore dopo il risultato -. Così non possiamo offrire delle opportunità ai nostri giovani». «Sono molto orgoglioso – ha aggiunto – della campagna elettorale gestita dal mio partito. Il nostro manifesto era “per i molti, non per i pochi”. Le persone votano per la speranza, la speranza del futuro e voltano le spalle all’austerità». Con la parola hope contrapposta ad austerity Jeremy Corbyn ha sintetizzato il suo programma, chiaro, netto, che alla fine ha avuto la meglio. L’8 giugno, il Labour ha trascinato non solo i tanti giovani che gli avevano consegnato il partito a settembre 2015, ma anche gli adulti e anziani delusi dai loro partiti nel dopo Brexit. «Le persone sono molto più intelligenti di quanto pensano i baroni della stampa», ha scritto ancora Owen Jones oggi sul Guardian, riferendosi alla campagna mediatica condotta contro il socialista d’altri tempi che non ha mai cambiato idea sulle battaglie da fare.

Una leadership grazie ai giovani

Nel 2015 aveva avuto il coraggio di dire che «abbiamo molto da recuperare da Marx» eppure riuscì a diventare il capo dei laburisti. Dopo la sua elezione (v.articolo Left qui), Corbyn dovette vedersela con i suoi dentro il partito. Non sono stati anni facili, considerate anche le critiche mosse dai media. Troppo utopico, troppo fuori della realtà, dicevano. E invece aveva ragione lui.

Dalla Gran Bretagna all’Europa e all’Italia

E qui il discorso si estende alla sinistra in Europa e soprattutto all’Italia, in preda ad una fibrillazione causata dalle elezioni anticipate – se mai ci saranno – e dal pasticcio della legge elettorale.
A vedere le reazioni dei leader sui social e anche nei relativi siti, colpisce il silenzio di Matteo Renzi, ma anche di Pier Luigi Bersani. Mentre sulla pagina facebook di Campo Progressista di Giuliano Pisapia si legge questo post: «Vediamo, Considerate le dovute differenze, come si possa superare il 40% proponendo un programma chiaro e progressista, che faccia i conti con la realtà quotidiana delle persone e proponga soluzioni tanto radicali nei contenuti quanto pragmatiche nella loro possibilità d’essere. Ben lontano da quel politicismo fine a sé stesso che, specialmente negli ultimi mesi, sta imperversando nel nostro Paese». È chiaro il riferimento a come si sia arrivati ad una legge elettorale dichiarata già superata dai suoi autori, ma c’è anche il riferimento alle larghe intese Renzi-Berlusconi. La lezione britannica piace a Campo progressista: «La Gran Bretagna ci dimostra che la bellezza del confronto tra le differenti idee è un punto al quale non ci si può sottrarre, ma bisogna essere convinti del proprio programma ed esser sicuri di muoversi per il bene dei tanti e non per l’interesse di pochi».
Nicola Fratoianni segretario di Sinistra Italiana, sempre su facebook scrive: «Una Sinistra che fa il proprio mestiere. Una lezione di umiltà, testardaggine e di coerenza che può essere utile anche per coloro che in Italia si affannano con formule vuote, politiciste o si alambiccano con progetti politici non più ripetibili». Entusiasti Anna Falcone e Tomaso Montanari che hanno appena lanciato l’appello per una sinistra unita. «La straordinaria affermazione di Corbyn nelle elezioni politiche in Gran Bretagna dimostra che la Sinistra che con-vince è quella che pone al centro del suo programma politico la lotta alle diseguaglianze e il ritorno alla giustizia sociale come priorità delle politiche pubbliche», scrivono i due firmatari del documento che, ricordiamo, danno appuntamento a domenica 18 giugno, Teatro Brancaccio, Roma.

Una lezione che serve all’Italia?

«Ormai non si vince più stando al centro», ha detto questa mattina ai microfoni di Radio Tre il politologo Piero Ignazi. Programmi netti, con parole ben definite sui problemi da affrontare che in Italia sono simili a quelli britannici: sanità, istruzione, lavoro, sono i grandi temi per i quali occorre trovare una soluzione per eliminare le diseguaglianze crescenti. Senza compromessi e senza inciuci. Chissà se la lezione britannica potrà servire alla sinistra italiana in cerca di una unità per ora alquanto incerta. È sicuro però che, come scrive ancora Owen Jones, «quella di un governo socialista che può costruire un’economia gestita nell’interesse dei lavoratori – non l’intreccio degli interessi che ci hanno messo in ripetuta crisi – beh, è ​​probabile che sia stata una prospettiva che molti di noi pensavano non avrebbero mai vissuto in tutta la nostra vita. Ora è molto più vicino di quanto non sia mai stato».