L’unico a vincere al primo turno è una “vecchia volpe” della politica, Leoluca Orlando. A 70 anni – li compirà ad agosto – è stato riconfermato sindaco di Palermo, per la quinta volta. Aveva esordito quando ne aveva 38 e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Orlando ha acquisito una grande esperienza, è stato parlamentare, ha fondato un movimento politico, la Rete, e la sua capacità di tessere alleanze “dal basso” è certamente uno dei motivi della sua vittoria sul candidato di centrodestra Fabrizio Ferrandelli e su quello pentastellato Ugo Forello. Non ha voluto simboli di partito, Leoluca Orlando, ma è riuscito lo stesso a mettere insieme sette liste civiche: oltre alla sinistra, che lo aveva sostenuto cinque anni fa, anche il Pd, i centristi di Casini, buona parte di Ap e Sicilia futura dell’ex ministro Totò Cardinale. C’è da dire che ha vinto però grazie a una modifica alla legge elettorale della Sicilia, Regione a statuto speciale, votata nel 2016. Il candidato che avrebbe preso il 40% più uno dei voti – questa in sostanza la legge – non avrebbe avuto bisogno del ballottaggio. Nonostante i pentastellati avessero gridato alla “legge truffa”, la norma è passata e grazie a questa Leoluca Orlando ha ottenuto il suo quinto mandato.
Per il resto, le elezioni amministrative dell’11 giugno, che hanno interessato 1014 comuni, sono state caratterizzate da una forte astensione. È andato a votare il 60,7 % degli elettori, mentre nella precedente tornata elettorale a esprimersi era stato il 66,85 dei votanti. E poi ci sono state le sorprese, come lo smacco dei candidati M5s e la riproposizione dello scontro bipolare tra centrodestra e centrosinistra. Il giorno dopo i commentatori hanno parlato molto di “volatilità” o “volubilità” dell’elettorato. Ma se fosse invece, come ha detto, Nadia Urbinati ai microfoni di Tutta la città ne parla su Radio tre, di “secolarizzazione” della politica? Cioè è finita la fede in un partito, o in un capo e adesso quello che conta è la fiducia, anche sulla base della realtà, su ciò che effettivamente è stato fatto da quel capo e dal quel partito. La prova che hanno dato i pentastellati sulla legge elettorale naufragata la scorsa settimana alla Camera non è stata molto positiva. Così come del resto non era molto piaciuto alla base l’accordo a quattro che vedeva il M5s insieme con quei partiti, la casta, oggetto di tante battaglie negli anni precedenti. Il fatto poi che il M5s sostenesse la possibilità che il Parlamento fosse costituto da almeno il 60% dei nominati, è stato un rospo troppo duro da digerire. Ecco, questa potrebbe essere una chiave per comprendere la disaffezione per il M5s degli elettori delle amministrative. Sostenere anche, come continua a fare la stampa mainstream che il M5s è un movimento che va bene per le politiche, a livello nazionale, e non per gli enti locali, significa ancora negare l’intelligenza dei cittadini i quali adesso, “secolarizzati” guardano più ai fatti, anche locali, che non alle opinioni dall’alto. Grillo, nelle sue dichiarazioni a caldo, sostiene che quella del movimento sarà “una crescita lenta”, ma sembra più una scusa.
Del resto, che il M5s sia andato male lo si è visto anche a Genova dove al comizio dello stesso Grillo, erano presenti poche centinaia di persone. Nel capoluogo ligure hanno pesato anche le polemiche sulle primarie annullate dallo stesso leader, che avevano visto vincente Marika Cassimatis. Insomma, non si gioca sulla democrazia o sulla contraddizione tra il dire una cosa e il farne un’altra. Il messaggio “dissociato” di Grillo forse non è passato inosservato. E infatti il Mss si è presentato spaccato a Genova e il candidato sponsorizzato dal comico, Luca Pirondini, è arrivato terzo con il 18,07% delle preferenze dietro a Gianni Crivello del centrosinistra (33,39%) e a Marco Bucci, centrodestra, con il 38,80%. Genova, storica città di sinistra, la patria dei camalli, potrebbe avere un sindaco di destra.
Resta infatti l’incognita del ballottaggio del 25 giugno. E qui il ruolo dei pentastellati diventa decisivo. Dove andranno gli elettori del M5s? A destra o a sinistra? Anche a Taranto, il candidato del M5s Francesco Nevoli con il suo 12,36% potrebbe essere determinante nel ballottaggio tra centrodestra (Stefania Baldassarri) e centrosinistra (Rinaldo Melucci). A Taranto, però, sempre con il 12 % c’è un candidato dal cognome molto noto: Mario Cito. Altri non è che il figlio di Giancarlo Cito, proprietario di televisioni, ex sindaco di Taranto nonché ex deputato con una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Insomma, anche nella città dei due mari il ballottaggio del 25 giugno sarà da brividi e sarà determinante l’apporto degli elettori pentastellati. È andato bene nella sua Parma l’ex M5s Federico Pizzarotti arrivato primo con il 34,78% e che se la dovrà vedere con Paolo Scarpa del centro sinistra (32,73%). Anche questo successo conferma il fatto che là dove si è amministrato bene, poi si viene premiati. Cioè non sono tanto gli schieramenti ideologici a dominare quanto la realtà dei fatti nudi e crudi…
A Rignano, il paese natale di Matteo Renzi è stato riconfermato l’ex sindaco Daniele Lorenzini – eletto nel 2012 per il Pd – che si è presentato alla guida di una lista civica. Nel piccolo paese fiorentino si è consumata una significativa sconfitta per Tiziano Renzi, padre di Matteo e segretario del locale circolo anche se adesso autosospeso: la candidata Pd, Eva Uccella è arrivata seconda con un divario di voto notevole. Lorenzini aveva preferito corrrere da solo dopo la vicenda Consip.
Altro strappo dall’orbita di Renzi, migliaia di chilometri più a Sud. A Lampedusa, Giusi Nicolini, sindaco-simbolo dell’isola dell’accoglienza, premio Unesco per la pace, chiamata da Renzi nella direzione del partito democratico, è arrivata terza, battuta da Salvatore Martello, candidato Pd (non renziano) e dal giovane Filippo Mannino con una lista civica ispirata al M5s. Cosa è accaduto? Come abbiamo scritto nell’ultimo numero di Left, la sindaca era molto criticata per non aver saputo coinvolgere i cittadini nella amministrazione dell’isola. Incapacità personale? Oppure invidia dei locali? Nicolini è diventata un personaggio pubblico a tutti gli effetti, addirittura è andata alla casa Bianca da Obama insieme con Matteo Renzi. Vedremo se le politiche dell’accoglienza del nuovo sindaco saranno all’insegna dell’apertura o della chiusura.