Ciò che il visibile non concede. È il titolo della nuova mostra fotografica di Gianpaolo Conti. L’artista visuale - da sempre impegnato nelle pratiche digitali oltre che nella regia e l’editing - presenta alcuni suoi lavori a Roma a distanza di due anni dalla mostra di via Margutta My Eyes on the Road. Due anni intensi e proficui, di riflessione, sedimentazione, riconfigurazione dei materiali e affinamento delle tecniche. L’artista, che precedentemente aveva indagato il tema dell’irrealtà nella realtà urbana, qui si dedica con misurata determinazione e slancio personale ai dettagli più minuti, quasi da leggere in filigrana; all’immagine non convenzionale della metropoli; a volti e figure percepite e restituite in modo non usuale; a tracce iconiche, sottratte alla nostalgia e reinventate alla luce di una densa, soffusa, malinconia. Ciò che nella precedente mostra era segno grafico, reiterazione di uno stilema, intensificazione del colore, immediatezza di approccio, qui diventa ricerca sofisticata sulla credibilità illusoria della profondità di campo, decostruzione della superficie bidimensionale, stratificazione sensoriale ed esperienziale, archivio della memoria, molteplicità di elementi da rimodulare con diversa maturità: la leggerezza orizzontale si trasforma in gioco combinatorio verticale, la danza dei cuori in solitudine sospesa, il rosso esibito in monocromia drammatica e drammatizzazione degli interventi. Partendo dagli scatti fotografici, attraverso il supporto di versioni elettroniche di pennelli, filtri, ingrandimenti ed elaborazioni cromatiche, Conti ci porta dentro il suo mondo remoto e moderno, naturale e artificiale, ritroso alla captazione e disponibile all’interpretazione. La semplicità immediata e gratificante del primo sguardo non tragga in inganno; le competenze del regista sugli obiettivi e la messa in quadro qui fanno la differenza, perché il processo di avvicinamento alle opere chiede un attento lavoro dell’occhio a identificare dettagli segreti e misteriosi e una progressiva adesione empatica a cogliere risonanze ed echi che affiorano da lontano.

Si guardi Nel volto di un gorilla che è insieme rendez-vous con la cultura cinematografica, la natura primordiale, le età dell’uomo, lo sguardo che racconta se stesso, e più sottilmente, l’ecosistema e le favelas di Rio de Janeiro; o In ognuno di noi che raccoglie contemporaneamente i sanpietrini, dove ogni giorno rischiamo di scivolare con il motorino, un volto dalla palpebre socchiuse, insieme silenzio e sogno, e geometrie di civiltà antiche, forse orientali; o anche Tra le nuvole, che è sì gasometro e archeologia industriale, ma anche traccia storica, riferimento urbano, reticolo funzionale, linea di demarcazione contro l’orizzonte incerto della città. Suggestioni interessanti.

La mostra è visitabile dal  22 giugno presso l’atelier di Alessandra Giannetti in Piazza Capranica 94, a Roma.  

Ciò che il visibile non concede. È il titolo della nuova mostra fotografica di Gianpaolo Conti. L’artista visuale – da sempre impegnato nelle pratiche digitali oltre che nella regia e l’editing – presenta alcuni suoi lavori a Roma a distanza di due anni dalla mostra di via Margutta My Eyes on the Road. Due anni intensi e proficui, di riflessione, sedimentazione, riconfigurazione dei materiali e affinamento delle tecniche. L’artista, che precedentemente aveva indagato il tema dell’irrealtà nella realtà urbana, qui si dedica con misurata determinazione e slancio personale ai dettagli più minuti, quasi da leggere in filigrana; all’immagine non convenzionale della metropoli; a volti e figure percepite e restituite in modo non usuale; a tracce iconiche, sottratte alla nostalgia e reinventate alla luce di una densa, soffusa, malinconia.

Ciò che nella precedente mostra era segno grafico, reiterazione di uno stilema, intensificazione del colore, immediatezza di approccio, qui diventa ricerca sofisticata sulla credibilità illusoria della profondità di campo, decostruzione della superficie bidimensionale, stratificazione sensoriale ed esperienziale, archivio della memoria, molteplicità di elementi da rimodulare con diversa maturità: la leggerezza orizzontale si trasforma in gioco combinatorio verticale, la danza dei cuori in solitudine sospesa, il rosso esibito in monocromia drammatica e drammatizzazione degli interventi. Partendo dagli scatti fotografici, attraverso il supporto di versioni elettroniche di pennelli, filtri, ingrandimenti ed elaborazioni cromatiche, Conti ci porta dentro il suo mondo remoto e moderno, naturale e artificiale, ritroso alla captazione e disponibile all’interpretazione. La semplicità immediata e gratificante del primo sguardo non tragga in inganno; le competenze del regista sugli obiettivi e la messa in quadro qui fanno la differenza, perché il processo di avvicinamento alle opere chiede un attento lavoro dell’occhio a identificare dettagli segreti e misteriosi e una progressiva adesione empatica a cogliere risonanze ed echi che affiorano da lontano.

Si guardi Nel volto di un gorilla che è insieme rendez-vous con la cultura cinematografica, la natura primordiale, le età dell’uomo, lo sguardo che racconta se stesso, e più sottilmente, l’ecosistema e le favelas di Rio de Janeiro; o In ognuno di noi che raccoglie contemporaneamente i sanpietrini, dove ogni giorno rischiamo di scivolare con il motorino, un volto dalla palpebre socchiuse, insieme silenzio e sogno, e geometrie di civiltà antiche, forse orientali; o anche Tra le nuvole, che è sì gasometro e archeologia industriale, ma anche traccia storica, riferimento urbano, reticolo funzionale, linea di demarcazione contro l’orizzonte incerto della città. Suggestioni interessanti.

La mostra è visitabile dal  22 giugno presso l’atelier di Alessandra Giannetti in Piazza Capranica 94, a Roma.