Questa settimana la nostra pagina facebook e il nostro sito sono stati molto visitati, in particolare per un articolo del 2011 di Annelore Homberg, che abbiamo ripubblicato in riferimento al caso della bambina abbandonata in macchina dalla madre. Come sempre più spesso capita che c’è chi vuole intervenire per dire la sua a prescindere dalle competenze e dalla formazione degli esperti che interpelliamo su argomenti così complessi. Si dirà: ma cosa c’è di complesso in una madre che abbandona il proprio bambino in macchina? È una dimenticanza, è come lasciare una cosa sul tavolo, è la stessa cosa! Per questo motivo tutti si sentono autorizzati a dire la propria. Perché a tutti è capitato nella vita di dimenticarsi le chiavi di casa. Quale sarebbe la differenza con il dimenticare un bambino? La differenza è sottile, ma enorme. Il bambino è un essere umano. Con il bambino c’è (o ci dovrebbe essere) un rapporto. Con le chiavi di casa non c’è nessun rapporto. Sono una cosa. Allora dimenticare un bambino non è la stessa cosa di dimenticare le chiavi di casa. Perché, nel primo caso, si annulla il bambino, la sua esistenza e il rapporto con il bambino. Se si dimenticano le chiavi di casa non si annulla niente. Le chiavi si ritrovano lì dov’erano. Il bambino muore. La pulsione di annullamento, scoperta da Massimo Fagioli e teorizzata in Istinto di morte e conoscenza, che fa sparire l’immagine e l’idea di una realtà esterna a se stessi, senza lasciare nessuna traccia, è una cosa complessa da comprendere. Non ci si accorge quando la si agisce, perché è una dinamica non cosciente. Serve il rapporto con un altro per comprendere di aver annullato qualcuno o qualcosa. Tipicamente uno psichiatra che interpreta, ossia rende evidente, spiega e verbalizza, l’annullamento e la pulsione che lo determina. La dimenticanza invece si risolve ritrovando l’oggetto perduto. È sufficiente la realtà materiale per frustrare la dimenticanza. Non serve un’altra persona. Ma perché è così complicato capire che cos’è l’annullamento? Possono esserci diverse ragioni, ma penso che sia importante evidenziare due motivi. Il primo è che bisogna comprendere che l’annullamento non corrisponde ad una passività di chi lo agisce. Annullare significa agire la pulsione. Non significa non agire un pensiero di esistenza. Cioè l’esistenza dell’oggetto come immagine e pensiero è eliminata, fatta sparire dalla pulsione di annullamento. Non il contrario, ossia non faccio il pensiero e quindi c’è l’annullamento. Il non fare un pensiero non è detto che corrisponda ad un annullamento. Allora dimenticare un bambino in macchina non è pensare ad altro e quindi dimenticare il bambino ma è prima annullare il bambino e poi pensare ad altro. Il secondo motivo è che proprio per il fatto che non è una cosa che capita a tutti, è difficile da comprendere. Si tenta di mettersi nei panni della madre e non si riesce a comprendere come possa aver fatto una cosa del genere. L’unica spiegazione plausibile è si è dimenticata. Potrebbe capitare anche a me. Va detto con chiarezza che questo non è vero. Non può capitare a chiunque. Capita solo a chi ha una patologia grave anche se magari molto nascosta e non diagnosticata. La difficoltà di comprendere è la difficoltà di comprendere la malattia mentale, che esiste e va vista nella sua stranezza. Il malato di mente fa cose che non si comprendono perché ha perso il rapporto con gli altri esseri umani. Il malato di mente fa paura perché non si riesce a spiegare quello che fa con quello che si conosce. Non bisogna annullare la malattia mentale. Bisogna tenere gli occhi aperti. Perché è possibile comprendere e poi affrontare e curare la malattia mentale. Nessuno oggi ha paura di una malattia come l’otite. Basta un antibiotico e si cura. Una volta si moriva per l’otite. Se si nega che esiste l’otite e si nega che esistano medici in grado affrontare e curare quella malattia si può morire, come è capitato di recente ad un bambino “curato” con l’omeopatia. Allora non annulliamo la medicina e la psichiatria. Perché l’annullamento si porta dietro la paura. La paura è verso ciò che da sconosciuto è diventato inconoscibile. Lo sconosciuto si può conoscere. L’inconoscibile no. Ma l’inconoscibile è tale perché è stata annullata la possibilità di conoscere. Non esiste nulla di inconoscibile perché l’inconoscibile è un’invenzione dell’essere umano. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

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Questa settimana la nostra pagina facebook e il nostro sito sono stati molto visitati, in particolare per un articolo del 2011 di Annelore Homberg, che abbiamo ripubblicato in riferimento al caso della bambina abbandonata in macchina dalla madre. Come sempre più spesso capita che c’è chi vuole intervenire per dire la sua a prescindere dalle competenze e dalla formazione degli esperti che interpelliamo su argomenti così complessi.
Si dirà: ma cosa c’è di complesso in una madre che abbandona il proprio bambino in macchina? È una dimenticanza, è come lasciare una cosa sul tavolo, è la stessa cosa! Per questo motivo tutti si sentono autorizzati a dire la propria. Perché a tutti è capitato nella vita di dimenticarsi le chiavi di casa.
Quale sarebbe la differenza con il dimenticare un bambino?
La differenza è sottile, ma enorme. Il bambino è un essere umano. Con il bambino c’è (o ci dovrebbe essere) un rapporto. Con le chiavi di casa non c’è nessun rapporto. Sono una cosa.
Allora dimenticare un bambino non è la stessa cosa di dimenticare le chiavi di casa. Perché, nel primo caso, si annulla il bambino, la sua esistenza e il rapporto con il bambino. Se si dimenticano le chiavi di casa non si annulla niente.
Le chiavi si ritrovano lì dov’erano. Il bambino muore.
La pulsione di annullamento, scoperta da Massimo Fagioli e teorizzata in Istinto di morte e conoscenza, che fa sparire l’immagine e l’idea di una realtà esterna a se stessi, senza lasciare nessuna traccia, è una cosa complessa da comprendere. Non ci si accorge quando la si agisce, perché è una dinamica non cosciente. Serve il rapporto con un altro per comprendere di aver annullato qualcuno o qualcosa. Tipicamente uno psichiatra che interpreta, ossia rende evidente, spiega e verbalizza, l’annullamento e la pulsione che lo determina.
La dimenticanza invece si risolve ritrovando l’oggetto perduto. È sufficiente la realtà materiale per frustrare la dimenticanza. Non serve un’altra persona. Ma perché è così complicato capire che cos’è l’annullamento?
Possono esserci diverse ragioni, ma penso che sia importante evidenziare due motivi. Il primo è che bisogna comprendere che l’annullamento non corrisponde ad una passività di chi lo agisce. Annullare significa agire la pulsione. Non significa non agire un pensiero di esistenza. Cioè l’esistenza dell’oggetto come immagine e pensiero è eliminata, fatta sparire dalla pulsione di annullamento. Non il contrario, ossia non faccio il pensiero e quindi c’è l’annullamento. Il non fare un pensiero non è detto che corrisponda ad un annullamento. Allora dimenticare un bambino in macchina non è pensare ad altro e quindi dimenticare il bambino ma è prima annullare il bambino e poi pensare ad altro. Il secondo motivo è che proprio per il fatto che non è una cosa che capita a tutti, è difficile da comprendere. Si tenta di mettersi nei panni della madre e non si riesce a comprendere come possa aver fatto una cosa del genere. L’unica spiegazione plausibile è si è dimenticata. Potrebbe capitare anche a me. Va detto con chiarezza che questo non è vero. Non può capitare a chiunque. Capita solo a chi ha una patologia grave anche se magari molto nascosta e non diagnosticata. La difficoltà di comprendere è la difficoltà di comprendere la malattia mentale, che esiste e va vista nella sua stranezza. Il malato di mente fa cose che non si comprendono perché ha perso il rapporto con gli altri esseri umani. Il malato di mente fa paura perché non si riesce a spiegare quello che fa con quello che si conosce. Non bisogna annullare la malattia mentale. Bisogna tenere gli occhi aperti. Perché è possibile comprendere e poi affrontare e curare la malattia mentale.
Nessuno oggi ha paura di una malattia come l’otite. Basta un antibiotico e si cura. Una volta si moriva per l’otite. Se si nega che esiste l’otite e si nega che esistano medici in grado affrontare e curare quella malattia si può morire, come è capitato di recente ad un bambino “curato” con l’omeopatia. Allora non annulliamo la medicina e la psichiatria. Perché l’annullamento si porta dietro la paura. La paura è verso ciò che da sconosciuto è diventato inconoscibile. Lo sconosciuto si può conoscere. L’inconoscibile no. Ma l’inconoscibile è tale perché è stata annullata la possibilità di conoscere.
Non esiste nulla di inconoscibile perché l’inconoscibile è un’invenzione dell’essere umano.

L’editoriale è tratto dal numero di Left in edicola


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