La vicenda dei voucher illustra alla perfezione il pessimo stato del lavoro dipendente in Italia e la scarsa considerazione che ne ha la nostra classe dirigente, in particolare il governo. Anzi, i governi, vista la continuità con cui si sono mossi gli ultimi esecutivi in materia di relazioni sociali e lavorative.
Chiunque viva di lavoro – in tutte le sue forme, da quelle regolamentate a quelle più precarie – sa bene come i voucher abbiano portato al massimo livello la mercificazione della prestazione lavorativa. Nella forma introdotta dal Jobs Act – che ne aveva esteso a dismisura l’utilizzo – i voucher sono stati cancellati per evitare che il popolo italiano si esprimesse con un voto nel referendum indetto su iniziativa della Cgil, un voto che sarebbe stato anche un giudizio chiaro sul governo e sulla sua politica economica e sociale. L’esecutivo ha preferito cancellarli per evitare una nuova “botta” referendaria, dopo quella del 4 dicembre scorso, salvo reintrodurli – in forma sotanzialmente analoga – inserendoli nella cosiddetta manovrina economica. Ancor prima che per il merito si è trattato di un insulto alla volontà popolare e alla stessa sovranità del Parlamento, che mai ne ha potuto discutere nel merito: un atto pericoloso e antidemocratico anche in prospettiva, perché prelude a un futuro in cui qualunque governo potrebbe cancellare una legge per evitare il giudizio referendario e poi riproporne qualche giorno dopo i contenuti con una nuova legge. Quanto al merito, i “nuovi voucher” di diverso dai vecchi hanno il nome – ora si chiamano “buoni” per famiglie e imprese – e poco più. Infatti potranno essere usati non soltanto per il lavoro domestico ma soprattutto nelle imprese fino a cinque dipendenti, che sono la maggioranza delle aziende italiane. Inoltre, mentre la copertura previdenziale cresce in maniera quasi irrilevante, i controlli sulle prestazioni in nero e i vincoli sui massimi di retribuzioni e tempi sono facilmente eludibili.
Questa nuova violenza ai danni di chi per vivere deve lavorare è stata giustificata con l’esistenza di un presunto “vuoto normativo” che avrebbe paralizzato mezza Italia: una grossolana bugia, come ben spiegato anche dalla Corte costituzionale. Le imprese già oggi dispongono di strumenti normativi che hanno avuto discipline apposite nell’ambito dei contratti collettivi: la somministrazione di lavoro, il lavoro a chiamata con o senza indennità di disponibilità, il part time orizzontale, verticale e misto, la surroga e l’extra. Strumenti che già garantiscono la flessibilità necessaria e che sono al tempo stesso – a differenza dei voucher – strumenti contrattuali.
In piazza per la manifestazione del 17 giugno contro la “truffa” dei voucher. L’obiettivo per i prossimi anni? Regole e garanzie per impedire
il progressivo svuotamento dei diritti dei lavoratori. La parola al segretario della Fiom Cgil