Cinque minuti di televisione che sono il manifesto di un’era. Cosa è successo lo vedete qui:
Da una parte c’è Oscar Farinetti, il mago dello storytelling di un capitalismo che traveste i poveri da “fortunati frequentatori” di supermercati ammantati di ottimismo e dall’altra c’è Marta Fana, una ricercatrice che come tanti se n’è andata dall’Italia per cercare un Paese all’altezza delle proprie aspirazioni.
Farinetti, al solito, ci mette la sua melassa narrativa per raccontare di un’Italia che deve ripartire grazie alla “fiducia”, come se con la fiducia, l’ottimismo e un po’ di letteratura funzionale alla promozione della frutta e della verdura i giovani possano costruirsi una vita dignitosa. Farinetti è uno di quegli imprenditori che sognano di essere ringraziati ogni ora tutto il giorno dai concittadini e dai dipendenti per l’opportunità di averlo conosciuto. Farinetti è il mago del senso del lavoro talmente bistrattato che alla fine diventa un privilegio: è perfettamente funzionale a questa epoca di schiavismo edulcorato.
In trasmissione però non trova i soliti vassalli pronti a bersi la sua narrazione. C’è una persona vera, di quelle che tutti i giorni frequentano una generazione tradita. E Marta Fana, tranquilla, sciorina tutte le contraddizioni di chi impoverisce i diritti e intanto raddoppia i prezzi dei legumi.
E come reagisce lui? Promette querela. Al solito. Non risponde. Al solito. Ma soprattutto si rivolge a Marta Fana chiamandola “signorina”. Signorina. Come un padre di famiglia con una giovinastra che è troppo discola. Signorina come si usa per sminuire infilandola in una categoria non all’altezza, senza nemmeno meritarsi un nome e un cognome.
E in quel “signorina” lì c’è tutto lo sprezzo dei padroni che sembrano tornati padronali come potevano permettersi solo cinquant’anni fa.
Buon venerdì.