Con la “scomunica” del Qatar da parte di Usa e Arabia Saudita, l'ufficio politico di Hamas in esilio a Doha ha perso in un colpo solo il sostegno finanziario e militare che l’asse sciita gli garantiva. Difficilmente avranno ancora la possibilità di impensierire la macchina da guerra di Israele

Dalla Nato araba ad un nuovo ordine mediorientale: la visita di Donald Trump nel Golfo, a fine maggio, ha rimescolato le carte nel fronte sunnita. Dopo aver alacremente lavorato ad un asse regionale contro l’Iran – formato dai Paesi del Golfo (Qatar compreso) e ufficiosamente Israele – il presidente Usa ha lasciato dietro di sé una resa dei conti che ha radici politiche e economiche ben più profonde.
Una crisi seria tanto che gli stessi Stati Uniti, dopo il plauso all’alleato saudita e la semi-rivendicazione dell’isolamento di Doha passati per i tweet entusiastici di Trump, mettono una pezza: in 24 ore, il 15 giugno, hanno prima mandato due navi da guerra per un’esercitazione congiunta con la Marina qatariota e poi hanno firmato un accordo di vendita di 36 caccia F15 (12 miliardi di dollari) al Paese fino a poco prima isolato per sostegno al terrorismo islamista.
Quello che resta, che la crisi rientri o meno, è la ridefinizione della rete di alleanze regionali con un asse sciita (Iran-Siria-Hezbollah e in parte Baghdad) opposto ad un fronte sunnita spaccato in due: da una parte l’Arabia Saudita e il suo stuolo di pretoriani (Emirati Arabi, Egitto, Bahrain) e dall’altra il Qatar a cui rimane la radicata amicizia con la Turchia, costruita sui legami con i Fratelli Musulmani. A monte della rottura c’è l’intenzione di Riyadh di ergersi a leader indiscusso della regione, velleità che passa obbligatoriamente per l’indebolimento del principale rivale, Doha.
Ovvi gli effetti che la rottura provocherà sui conflitti locali: in Libia dove il primo fronte guarda al generale Haftar come futuro leader e il Qatar lavora al rafforzamento del premier del governo di unità nazionale di stanza a Tripoli, al-Sarraj; in Siria dove i gruppi islamisti di riferimento di Doha e Riyadh non sono gli stessi e dove gli ufficiosi negoziati tra Assad e Qatar per la liberazione di alcuni ostaggi hanno riavvicinato i qatarioti al governo di Damasco, nella chiara intenzione di partecipare alla futura stabilizzazione/ricostruzione del Paese.
E poi c’è la Palestina….

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola


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