«Caro Presidente Sergio Mattarella, è per me un onore incontrarla e consegnarle questa lettera, mediante la quale voglio darle il benvenuto in Uruguay, la nostra seconda patria. La ringrazio inoltre per essere oggi tra di noi italiani, in questa nostra casa. Mi chiamo Maria Bellizzi, sono nata a San Basile in provincia di Cosenza. Sono arrivata in Uruguay quando non avevo ancora compiuto due anni. Correva l’anno 1928. Mi ci ha portata mia madre per raggiungere mio padre che era già emigrato in questo Paese….».
Andrés Humberto Bellizzi aveva 25 anni quando fu sequestrato il 19 aprile 1977 a Buenos Aires. Si trovava in Argentina per sfuggire alla repressione della dittatura uruguaiana in quanto militante della Resistencia obrero estudiantil, un’organizzazione studentesca di sinistra, quindi clandestina. È uno degli oltre 140 desaparecidos uruguaiani vittime del Piano Condor, l’operazione segreta realizzata al di fuori di qualsiasi alveo costituzionale durante gli anni 70 in accordo tra le polizie militari dei sette Paesi del Cono Sud latinoamericano. Si presume che sia stato portato al centro di detenzione clandestino Club Atlético, dove è stato interrogato dai servizi segreti uruguaiani prima di scomparire. Maria Bellizzi, l’autrice della lettera, è sua madre. Il 12 maggio scorso si è rivolta direttamente al presidente italiano in occasione del viaggio in Uruguay durante il quale Mattarella ha siglato un accordo che potrebbe portare all’estradizione in Sud America uno dei presunti assassini dei compagni di esilio di Andrés: Jorge Nestor Troccoli, un ufficiale dei servizi segreti della marina uruguaiana durante la dittatura ma dagli anni Duemila cittadino italiano.
Dalla scomparsa di Andrés «per me e per mio marito è iniziata una battaglia senza sosta, nella denuncia e nella ricerca, dentro e fuori delle frontiere, di notizie che ci portassero a conoscere il destino del nostro figlio. Dalla notte alla mattina mi sono trasformata da casalinga in attivista e militante per i diritti umani», scrive Maria. Due giorni prima dell’arrivo di Mattarella a Montevideo, al di qua dell’Atlantico, a Roma, il pm Tiziana Cugini e il procuratore aggiunto Francesco Caporale depositavano l’appello contro la sentenza di primo grado del Processo Condor per la parte relativa ai 18 imputati per sequestro e omicidio assolti dalla sentenza emessa il 17 gennaio scorso nell’aula bunker di Rebibbia. Tra questi «repressori denunciati», scrive Maria Bellizzi, c’è anche Troccoli ora finito al centro dell’accordo tra Italia e Uruguay per l’estradizione.
L’ex militare è soprannominato “il torturatore” nel suo Paese d’origine ed è stato tra i primi a riconoscere l’uso della tortura negli interrogatori dei prigionieri, al punto di rivendicarne la necessità anche in un libro autobiografico, di scarsa fattura, pubblicato in Uruguay. Durante il processo di Roma ha affermato di non aver mai ucciso un detenuto. Fatto sta che in Italia il reato di tortura non è contemplato e Troccoli è nel nostro Paese che «dopo essere fuggito dalla giustizia uruguaiana» riuscì a riparare dopo aver ottenuto la doppia cittadinanza grazie a un bisnonno cilentano. Ed è qui da noi che vive da uomo libero, nel beneventano, mentre in Uruguay molti suoi commilitoni sono in carcere per aver compiuto crimini contro l’umanità.
«Nel mese di settembre del 2016, con i miei 91 anni, ho dichiarato formalmente a Roma davanti alla III Corte di Assise. La sentenza purtroppo non ha raggiunto pienamente le nostre aspettative, ma per fortuna la Procura ha presentato istanza di appello» prosegue Maria.
«Caro presidente, nei giorni che hanno preceduto la visita in Uruguay ho seguito attentamente le sue attività in Argentina. L’ho vista visitare il parco della Memoria insieme a Lita Boitano, madre italiana che come me ha perso due figli e altri familiari. Anche in Uruguay, quando è tornata la democrazia, è stato costruito un monumento in vetro con incisi i nominativi di tutti i nostri scomparsi che superano i 140. Il Monumental (così si chiama) s’innalza in un bel parco di un quartiere popolare e abitato da molti immigranti, chiamato “El Cerro”. Anche qui, come in Argentina, il Monumental è stato costruito guardando il Rio de la Plata. Se legge i nominativi che lì sono ricordati capirà quanto è italiano questo paese. Abbiamo anche un Museo della Memoria e il 20 maggio, oramai da 22 anni, si realizza la manifestazione nazionale chiamata Marcia del silenzio per la verità e giustizia. Anche a San Basile c’è una piazza che è stata denominata Largo dei Desaparecidos. È dedicata a tre figli di San Basile scomparsi in Argentina. Uno è mio figlio Andres Humberto e gli altri due sono Hugo Scutari Bellizzi e Julio Scutari Bellizzi, nati in Argentina. Queste sono iniziative importanti, quasi come un tesoro da custodire per le giovani generazioni. Perché nella memoria collettiva di questo paese vivranno per sempre i nostri figli, i nostri mariti, i nostri cari congiunti. Caro presidente – conclude Maria Bellizzi – fino all’ultimo respiro della mia vita continuerò a lottare per conoscere la verità e fare giustizia per mio figlio e per tutti i detenuti scomparsi, figli di questa bella nazione. Molti di loro sono anche figli della nostra cara Italia. Grazie ancora di essere venuto».
Il 20 maggio in Montevideo c’era anche Maria alla Marcia del silenzio in ricordo dei desaparecidos. Su alcuni cartelli c’era scritto: «Non sono solo memoria. Sono vita che prosegue nelle vite degli altri».
Articolo pubblicato su Left n. 21 del 27 maggio 2017