Democrazia Atea: serve una rivoluzione culturale che rimetta al centro la laicità

Costituzione, diritti umani, antifascismo. Sono i “tre pilastri dell’azione” di Democrazia Atea, realtà politica nata nel 2009, con la stella della Repubblica Italiana nel simbolo. A ricordarlo è il vicesegretario Ciro Verrati all’apertura dell’assemblea pubblica che ha preceduto il congresso nazionale tenutosi a Roma sabato 24 giugno scorso. L’assemblea, aperta a tutti, si proponeva l’obiettivo di illustrare anche ai non iscritti le linee e la posizione politica in vista delle future elezioni.
È il segretario nazionale Carla Corsetti, che nel congresso vero e proprio del pomeriggio sarà riconfermata all’unanimità, a spiegare l’importanza della connotazione di ateismo che campeggia nel nome del partito: una proposizione tangibile, non incline al compromesso, che sancisce inequivocabilmente il perseguimento della grande assente della società e della politica italiana: la laicità. Un valore da opporre al tentativo di cattolicizzazione messo in atto da gran parte della classe politica, che mina alle fondamenta il concetto di democrazia, contrasta con la secolarizzazione in corso e rischia di avvicinarci, di fatto, a un sistema politico che siamo soliti attribuire ad ambienti esotici: la teocrazia.

Sembra un paradosso, eppure giova ricordare l’ovvio: il più vicino Stato straniero retto da un monarca assoluto con una corte di prìncipi maschi, e che non ha mai aderito alla carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non è l’Arabia Saudita: per raggiungerlo basta imboccare il lungotevere.

«Le parole sono importanti» ricorda Carla Corsetti, e il termine laicità, nella realtà italiana, ha subito un notevole grado di corruzione. Inaggirabile e toccante, a questo punto, il ricordo di un grande paladino della laicità scomparso solo un giorno prima, Stefano Rodotà. Ben lungi dalla laïcité su cui si fonda la Costituzione francese, spiega Corsetti, «la concezione italiana di laicità non va oltre un’idea vaga ed equivoca di non-clericalità». Come insegnano i linguisti, non si può ridurre il significato di una parola alla negazione del suo opposto. Non far parte del clero non basta, bisogna che si riconosca l’eguaglianza di tutte le confessioni, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad alcuna, riaffermando l’autonomia dello Stato in tutti i suoi poteri e le sue funzioni rispetto al potere ecclesiastico, nel rifiuto del riconoscimento del primato dell’autorità morale di qualsiasi religione.

La conseguenza è inevitabile: la Costituzione va difesa e applicata a tutela dello Stato democratico, ma l’articolo 7 va modificato. Il primo obiettivo del programma di DA è quindi l’abolizione dei Patti Lateranensi, eredità mussoliniana prima e catto-togliattiana poi, fattore di una distanza dalla laïcité d’oltralpe che è destinata a restare altrimenti incolmabile; «anche i fedayyn – ricorda Carla Corsetti – dopo la cacciata dello scià di Persia, si proclamavano laici». Inutile ricordare com’è andata a finire. Il fine della battaglia di questo partito non è la ricerca di poltrone, precisa il segretario nazionale, ma la difesa incondizionata di un principio inderogabile su cui fondare un cambiamento culturale, oltre che politico.

Per meglio spiegare il senso del programma di DA, durante l’assemblea vengono ricordati alcuni esempi significativi di violazione del principio di laicità sancito dalla stessa Costituzione. Appare così chiaro che il “fenomeno” italiano ha ormai assunto le dimensioni di una pandemia: scivoli preferenziali di accesso all’insegnamento per docenti di religione approvati dai vescovi, messe inaugurali di anni accademici e giudiziari, ubiquitarietà del crocifisso in aule scolastiche, tribunali, ospedali e seggi, abdicazione alla pubblica missione di sanità e scuola, consegnate in proporzioni sempre crescenti a istituti privati di matrice cattolica, per di più ben foraggiati attraverso un esercizio fantasioso dei meccanismi legislativi, progressiva erosione di ciò che resta di pubblico servizio a forza di obiezioni di coscienza e mancate attivazioni delle alternative all’ora di religione. Tutto ciò, mentre i dati indicano che la partecipazione religiosa della popolazione italiana è in calo e la società procede verso una secolarizzazione che stride con le scelte delle istituzioni. Persino il diritto politico di asilo e l’integrazione sociale dei rifugiati sono demandati (e derubricati) allo spirito di tolleranza e accoglienza dettato dal vangelo, mentre «vivere è un diritto umano e non carità cristiana», scandisce ancora Corsetti.

Con gli interventi degli ospiti, Marco Ferrando (Partito Comunista dei Lavoratori), Enzo Marzo (Critica Liberale), Ugo Moro (Partito Comunista d’Italia) e Dionisio Paglia (Comitato 4 dicembre), si conclude la presentazione di un’impostazione culturale che oggi, nella politica italiana appare nei fatti minoritaria. Politiche di equità sociale, lotta al precariato e potenziamento degli ammortizzatori, reti di assistenza per disabili e anziani, riforma della scuola e dell’università volte a una maggiore autonomia, incentivazione al ritorno in Italia di ricercatori, docenti e medici, incentivazione dell’agricoltura; e ancora, sul piano normativo, adozione di un nuovo codice deontologico per le Forze dell’Ordine, introduzione del reato di tortura nel codice penale, esame prioritario delle leggi d’iniziativa popolare nei lavori parlamentari, adozione di iniziative di riabilitazione alternative alla detenzione; non manca l’attenzione per l’ambiente, con il progetto di sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con quelle alternative e l’adozione del modello “berlinese” per fare dello smaltimento e il riutilizzo dei rifiuti una risorsa. Sono solo alcune delle tante cose di sinistra del programma politico di DA. Cose che, osserva il segretario nazionale, sarà difficile realizzare in assenza di una vera rivoluzione culturale che rimetta al centro la laicità, operazione che le attuali forze di sinistra, riunite al Brancaccio il 18 giugno, stentano a portare avanti con convinzione.
«La stima perché Democrazia Atea ottenga una rappresentanza in Parlamento è di vent’anni dalla fondazione del partito», conclude Carla Corsetti; a conti fatti, ne mancherebbero ancora dodici. Ma noi ci auguriamo che ce ne vogliano molti di meno.