Perché mai l’essere figlio di qualcuno (per esempio di italiani) dovrebbe garantire dei diritti? E perché mai il luogo dove si nasce (per esempio in Italia) dovrebbe garantire dei diritti? Il lettore non mi fraintenda. Ben venga lo ius soli. È giusto che chi nasce e chi vive da tempo in Italia abbia gli stessi diritti di chi discende da persone italiane. Ma credo sarebbe più giusto ancora fare un passo in più. Quello che si potrebbe chiamare ius nativitatis Gli esseri umani, tutti gli esseri umani, a prescindere da chi siano i loro genitori biologici o dal luogo dove gli capita di nascere o dalla scuola che hanno frequentato, dovrebbero godere degli stessi diritti. Di tutti i diritti, compresi quelli di cittadinanza. L’articolo 3 della costituzione dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. In questo articolo della Costituzione, e mi scusino i costituzionalisti se mi azzardo, ci sono due problemi. Il primo è che si parla di razze, anche se al negativo. Senza distinzione di razza. Il fatto è che però le razze umane non esistono. Esiste solo la specie umana, a prescindere dal colore della pelle, dei capelli o dalla statura. A prescindere da dove uno è nato o di chi è figlio. La nobiltà e la schiavitù non esistono più, almeno non in termini legali. I tribunali non giudicano in base all’origine di nascita. In effetti non giudicano nemmeno in termini di cittadinanza, in questo superando la Costituzione in cui si afferma che solo i cittadini sono uguali di fronte alla legge. E questo è il secondo problema dell’articolo 3. I tribunali invece affermano che la legge è uguale per tutti. Ovvero che siamo tutti uguali, davanti alla legge, a prescindere dalla cittadinanza. Bisogna fare un passo in più: andare anche oltre l’uguaglianza di ogni essere umano davanti alla legge. Le differenze biologiche sono un’apparenza. Anche le differenze culturali sono un’apparenza. Le differenze esistono ma sono come un vestito. Sotto a quel vestito, che fa una differenza, c’è un’uguaglianza. La chiave per vedere quest’uguaglianza, apparentemente invisibile, sta nella Teoria della nascita di Massimo Fagioli. La nascita, l’origine del pensiero come reazione allo stimolo luminoso assolutamente nuovo, quella dinamica di formazione del primo pensiero di rapporto con il mondo e di certezza dell’esistenza di un altro essere umano e del rapporto con esso, è l’uguaglianza di fondo. È una dinamica che riguarda tutti. È universale. Ovunque si nasca, da chiunque si nasca. La dinamica della nascita è qualcosa che accade necessariamente e in cui il feto che nasce realizza il primo pensiero di rapporto con il mondo nel rapporto con una realtà non umana. la luce. È una dinamica universale perché per tutti è così. Nel corso della sua breve vita, 37 anni appena, Mozart ha creato opere che oggi sono conosciute e ascoltate in tutto il mondo. Si potrebbe dire che la sua musica viene compresa senza nessuna difficoltà da chiunque, che sia un bambino o una persona anziana, che sia nato in in Brasile o in Cina, che abbia la pelle nera, gialla o bianca e a prescindere dalla formazione culturale o dalla lingua parlata. La musica di Mozart ha in sé qualcosa di universale, qualcosa che è compreso da tutti. Se vi capita, andate a visitare la sua casa a Vienna. Sono poche semplici stanze, quasi vuote perché non si hanno indicazioni di come fosse arredata e disposta la sua casa. L’emozione è grande. È come se ci trovassimo nel luogo dove ha abitato una persona che abbiamo conosciuto bene, come se fosse un caro amico, una persona con cui abbiamo avuto un rapporto profondo. È il rapporto con quella persona, mai vista e mai incontrata, che però ci ha parlato mille e mille volte con la sua musica, ogni volta che lo abbiamo ascoltato e ci siamo emozionati. Mozart era un genio. E se il genio fosse colui che riesce ad avere rapporto con tutta l’umanità? È colui che ha un rapporto così profondo con gli altri che riesce ad esprimere qualcosa che è valido per tutti. Il genio può essere un pittore. Può essere uno scrittore. Può essere un musicista. Il genio può essere uno scienziato. Il genio è colui che riesce a vedere in profondità, a parlare con quel qualcosa che ci rende tutti uguali, che vale per tutti, a prescindere da qualunque differenza, culturale o biologica, ci possa essere. Il genio ha la certezza del rapporto con gli altri esseri umani. È a loro che parla. Il genio è colui che parla, con la sua propria nascita, alla nascita di tutti gli esseri umani. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola

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Perché mai l’essere figlio di qualcuno (per esempio di italiani) dovrebbe garantire dei diritti?
E perché mai il luogo dove si nasce (per esempio in Italia) dovrebbe garantire dei diritti?
Il lettore non mi fraintenda. Ben venga lo ius soli. È giusto che chi nasce e chi vive da tempo in Italia abbia gli stessi diritti di chi discende da persone italiane.
Ma credo sarebbe più giusto ancora fare un passo in più. Quello che si potrebbe chiamare ius nativitatis
Gli esseri umani, tutti gli esseri umani, a prescindere da chi siano i loro genitori biologici o dal luogo dove gli capita di nascere o dalla scuola che hanno frequentato, dovrebbero godere degli stessi diritti. Di tutti i diritti, compresi quelli di cittadinanza.
L’articolo 3 della costituzione dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
In questo articolo della Costituzione, e mi scusino i costituzionalisti se mi azzardo, ci sono due problemi.
Il primo è che si parla di razze, anche se al negativo. Senza distinzione di razza. Il fatto è che però le razze umane non esistono. Esiste solo la specie umana, a prescindere dal colore della pelle, dei capelli o dalla statura. A prescindere da dove uno è nato o di chi è figlio. La nobiltà e la schiavitù non esistono più, almeno non in termini legali.
I tribunali non giudicano in base all’origine di nascita. In effetti non giudicano nemmeno in termini di cittadinanza, in questo superando la Costituzione in cui si afferma che solo i cittadini sono uguali di fronte alla legge. E questo è il secondo problema dell’articolo 3. I tribunali invece affermano che la legge è uguale per tutti. Ovvero che siamo tutti uguali, davanti alla legge, a prescindere dalla cittadinanza.
Bisogna fare un passo in più: andare anche oltre l’uguaglianza di ogni essere umano davanti alla legge.
Le differenze biologiche sono un’apparenza. Anche le differenze culturali sono un’apparenza. Le differenze esistono ma sono come un vestito. Sotto a quel vestito, che fa una differenza, c’è un’uguaglianza.
La chiave per vedere quest’uguaglianza, apparentemente invisibile, sta nella Teoria della nascita di Massimo Fagioli.
La nascita, l’origine del pensiero come reazione allo stimolo luminoso assolutamente nuovo, quella dinamica di formazione del primo pensiero di rapporto con il mondo e di certezza dell’esistenza di un altro essere umano e del rapporto con esso, è l’uguaglianza di fondo. È una dinamica che riguarda tutti. È universale. Ovunque si nasca, da chiunque si nasca. La dinamica della nascita è qualcosa che accade necessariamente e in cui il feto che nasce realizza il primo pensiero di rapporto con il mondo nel rapporto con una realtà non umana. la luce. È una dinamica universale perché per tutti è così.
Nel corso della sua breve vita, 37 anni appena, Mozart ha creato opere che oggi sono conosciute e ascoltate in tutto il mondo. Si potrebbe dire che la sua musica viene compresa senza nessuna difficoltà da chiunque, che sia un bambino o una persona anziana, che sia nato in in Brasile o in Cina, che abbia la pelle nera, gialla o bianca e a prescindere dalla formazione culturale o dalla lingua parlata.
La musica di Mozart ha in sé qualcosa di universale, qualcosa che è compreso da tutti. Se vi capita, andate a visitare la sua casa a Vienna. Sono poche semplici stanze, quasi vuote perché non si hanno indicazioni di come fosse arredata e disposta la sua casa. L’emozione è grande. È come se ci trovassimo nel luogo dove ha abitato una persona che abbiamo conosciuto bene, come se fosse un caro amico, una persona con cui abbiamo avuto un rapporto profondo.
È il rapporto con quella persona, mai vista e mai incontrata, che però ci ha parlato mille e mille volte con la sua musica, ogni volta che lo abbiamo ascoltato e ci siamo emozionati.
Mozart era un genio.
E se il genio fosse colui che riesce ad avere rapporto con tutta l’umanità?
È colui che ha un rapporto così profondo con gli altri che riesce ad esprimere qualcosa che è valido per tutti.
Il genio può essere un pittore. Può essere uno scrittore. Può essere un musicista. Il genio può essere uno scienziato.
Il genio è colui che riesce a vedere in profondità, a parlare con quel qualcosa che ci rende tutti uguali, che vale per tutti, a prescindere da qualunque differenza, culturale o biologica, ci possa essere.
Il genio ha la certezza del rapporto con gli altri esseri umani. È a loro che parla.
Il genio è colui che parla, con la sua propria nascita, alla nascita di tutti gli esseri umani.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola


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