La chiusura dei porti italiane alle navi umanitarie cariche di migranti scampati ai naufragi, come hanno minacciato di fare nei giorni scorsi il presidente del Consiglio Gentiloni e il ministro dell’Interno Minniti, non sarebbe solo un’iniziativa in netto contrasto con le normative di diritto internazionale vigenti. Per fare il punto e capire quali ricadute “umanitarie” potrebbe avere una azione di questo tipo abbiamo rivolto alcune domande a Marco Bertotto responsabile attività di difesa di Medici Senza Frontiere. «Non capiamo se l’idea del governo di chiudere i porti agli sbarchi di migranti si tratti di una provocazione o di un’iniziativa concreta» , osserva Bertotto. «Se fosse una provocazione potrebbe avere un senso, per chiedere collaborazione e compartecipazione dagli altri Paesi europei, ma se si dovesse concretizzare provocherebbe delle conseguenze sul piano umanitario che non sono accettabili». Provocazione o no, le polemiche non si sono placate nemmeno dopo un intervento del ministro Del Rio che ha smentito la possibilità del blocco portuale. Del resto sarebbe anche in netto contrasto con le normative di diritto internazionale vigenti. Sarebbe ad esempio incompatibile con la convenzione di Amburgo del 1979, in cui è previsto che le persone soccorse in mare siano portate nel porto sicuro più vicino alla zona del salvataggio, motivo per cui le Ong trasportano in Italia tutti i migranti soccorsi nel tratto di mare fra Libia e Italia. «Il soccorso in mare – spiega a Left Bertotto – si basa sull’importanza di avere sempre delle unità navali di soccorso al centro del Mediterraneo e se si costringessero queste unità a sbarcare in altri paesi si renderebbe più difficile il viaggio per i migranti. I naufraghi che soccorriamo in mare – aggiunge – versano in condizioni drammatiche: queste persone non potrebbero sopravvivere, passando ancora giorni e giorni in mare in attesa di poter sbarcare. Se noi, con le nostre navi, dovessimo impiegare per arrivare ad un porto più lontano rispetto a quello italiano, una o due settimane, avremmo molte più navi in giro per il Mediterraneo alla ricerca di un porto di sbarco piuttosto che nelle zone di soccorso. Questo ovviamente renderebbe ancora più alto il rischio di naufragi». Gentiloni e Minniti hanno chiesto agli altri Paesi europei di rispettare gli accordi stipulati nel 2015, relativi a un ricollocamento con un sistema di quote di 160mila richiedenti asilo. L’Italia ha chiesto all’Europa di non essere lasciata sola a gestire quest’emergenza e ha lanciato l’ultimatum. Il presidente francese Emmanuel Macron ha replicato dichiarando solidarietà ai migranti che arrivano in Italia, ma ha fatto una netta distinzione tra migranti economici e rifugiati politici.
«Noi pensiamo che la distinzione fra migrante economico e rifugiato politico sia una distinzione abbastanza artificiale» sottolinea il responsabile attività di difesa Msf. «Ci sono diversi fattori che rendono quella divisione un po’ artificiale. Per dire, chi arriva come migrante economico sapendo di esserlo? Basti pensare che secondo questa definizione viene considerato migrante economico una persona che dieci anni fa è andata a lavorare in Libia e si è trovata intrappolata in un meccanismo di sfruttamento, finendo nelle mani di un trafficante, ed è stata costretta a partire, buttando via migliaia di euro, per salvare la propria vita». Questa persona può essere considerata un migrante economico? «Lo è solo perché alcuni governi ormai hanno assunto questa definizione legale, semplicemente pensando che se una persona proviene da alcuni paesi è migrante economico mentre altri, che provengono da paesi in stato di guerra sono rifugiati. La situazione è più complessa di così e quindi converrebbe abbandonare questa vecchia logica della divisione tra migrante economico e rifugiato politico». Frontex ha denunciato di aver ricevuto minacce dalla guardia costiera libica. «È successo anche alle navi di Msf. Diverse volte la Marina libica si è resa responsabile di interventi al di fuori degli standard corretti. Il 17 agosto 2016 la nostra nave Bourbon Argos è stata raggiunta da alcuni colpi di arma da fuoco. Per fortuna non ci sono stati feriti. Ma abbiamo dovuto sospendere le nostre operazioni per alcune settimane per capire se fosse stato un incidente e quali fossero le ragioni per cui era successo. C’è stata inoltre un’altra situazione simile di pericolo, il 3 maggio scorso».
Oltre agli “incidenti” in mare vanno segnalate le dichiarazioni del portavoce della Marina libica, Ayyoub Qasem. «Le Ong ostacolano gli accordi tra la Libia e l’Italia» ha detto Qasem all’Adnkronos International ed ha aggiunto: «Le cosiddette Ong, che si trovano in gran numero nel Mediterraneo, soprattutto di fronte alle coste libiche commettono aperte violazioni alla sovranità marittima libica; inoltre incoraggiano i migranti illegali». «Inutile commentare cose già sentite» dice Bertotto. «Capiamo che la guardia costiera libica abbia interessi a mantenere una certa rete di rapporti con le autorità europee. Rispettiamo queste esigenze, ma noi di mestiere facciamo le organizzazioni umanitarie e lo facciamo in modo indipendente e autonomo quindi non vogliamo nemmeno entrare troppo in questo tipo di dibattito». Il 2 luglio a Parigi si è tenuto un nuovo vertice fra Italia, Francia e Germania per discutere dell’emergenza migranti ed è stata raggiunto un accordo di “massima intesa”. Hanno partecipato Marco Minniti, Gérard Collomb e Thomas de Maiziere, i ministri dell’Interno dei tre Stati, e il commissario europeo Dimitris Avramapoulos. Al vertice si è discussa la possibilità di limitare la libertà di movimento delle navi delle Ong, vietandone l’ingresso in acque libiche. «L’ingresso in acque libiche è una circostanza eccezionale, avvenuta in alcune situazioni di emergenza» precisa il responsabile attività di difesa Msf e conclude: «In quelle occasioni avevamo notizie di rischi di naufragio all’interno delle acqua libiche e abbiamo richiesto le autorizzazioni necessarie per intervenire. Credo che il governo italiano e le autorità europee si debbano esprimere chiaramente dicendoci se davvero pensano che di fronte al rischio di un naufragio all’interno delle acque libiche sia corretto decidere di non intervenire, facendo prevalere una logica di rispetto di una regola che peraltro, anche dal punto di vista legale è opinabile, o se prevalga una stato di necessità che autorizzi il comandante comunque a intervenire».