È lo Stato più giovane del mondo ma versa già in gravi condizioni. Il Sud Sudan indipendente solo dal 2011 è nel pieno di una pericolosissima crisi umanitaria. «La più grave dopo la seconda guerra mondiale» secondo Stephen O’Brien, il sottosegretario dell’Onu per gli affari umanitari. A fare il punto è un rapporto di Amnesty International in cui sono stati elaborati i dati di una missione che si è appena conclusa. Nella sola regione di Equatoria sono ammassati quasi un milione di sfollati, si legge nel rapporto. Si tratta di persone fuggite a morte certa e ai peggiori crimini contro l'umanità legati al violentissimo conflitto armato che è scoppiato alla fine del 2013 tra le milizie del vicepresidente pre-secessione e le forze dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan, fedeli al presidente Salva Kiir. Come sempre in questi casi ci vanno di mezzo i civili: violenze su donne e bambini, stupri, sequesrti torture e stragi senza senso. Donatella Rovera di Amnesty descrive così la situazione: «L’aumento delle ostilità nella regione di Equatoria ha significato brutalità ancora più diffuse contro i civili. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati vivi nelle loro abitazioni. Donne e bambine sono state rapite e sottoposte a stupri di gruppo». Le persone sfollate sono centinaia di migliaia perché «abitazioni, scuole, ambulatori e sedi delle organizzazioni umanitarie… tutto è stato razziato, vandalizzato e raso al suolo. Il cibo è usato come arma di guerra» conclude Rovera, descrivendo le atrocità in corso. Nel rapporto ci sono i racconti dei testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei, che accusano le milizie di omicidi crudeli e deliberati: «La sera del 16 maggio i soldati hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, nei pressi del confine ugandese. Hanno costretto 8 di loro a entrare in una capanna, ne hanno chiuso la porta, hanno appiccato il fuoco e sparato alla cieca». Amnesty ha incontrato quattro dei sopravvissuti. Raccontano che due dei prigionieri sono stati arsi vivi e altri quattro sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. Anche il cibo è un'arma, un'arma di ricatto perché sta diventando sempre più raro. È del 22 giugno scorso il monito delle Nazioni Unite sul fatto che l’insicurezza alimentare abbia raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan. Sia il governo che l'opposizione hanno bloccato le forniture di cibo e le milizie si dedicano a saccheggiare i mercati e le case, limitando l'accesso di cibo ai civili, che non possono nemmeno più andare in cerca di alimenti nei campi, perché verrebbero fermati ai posti di blocco, dove non si può passare con le provviste. «È crudelmente tragico – commenta Joanne Mariner, consulente di Amnesty per le risposte alle crisi - che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza».

È lo Stato più giovane del mondo ma versa già in gravi condizioni. Il Sud Sudan indipendente solo dal 2011 è nel pieno di una pericolosissima crisi umanitaria. «La più grave dopo la seconda guerra mondiale» secondo Stephen O’Brien, il sottosegretario dell’Onu per gli affari umanitari. A fare il punto è un rapporto di Amnesty International in cui sono stati elaborati i dati di una missione che si è appena conclusa. Nella sola regione di Equatoria sono ammassati quasi un milione di sfollati, si legge nel rapporto. Si tratta di persone fuggite a morte certa e ai peggiori crimini contro l’umanità legati al violentissimo conflitto armato che è scoppiato alla fine del 2013 tra le milizie del vicepresidente pre-secessione e le forze dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan, fedeli al presidente Salva Kiir. Come sempre in questi casi ci vanno di mezzo i civili: violenze su donne e bambini, stupri, sequesrti torture e stragi senza senso. Donatella Rovera di Amnesty descrive così la situazione: «L’aumento delle ostilità nella regione di Equatoria ha significato brutalità ancora più diffuse contro i civili. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati vivi nelle loro abitazioni. Donne e bambine sono state rapite e sottoposte a stupri di gruppo». Le persone sfollate sono centinaia di migliaia perché «abitazioni, scuole, ambulatori e sedi delle organizzazioni umanitarie… tutto è stato razziato, vandalizzato e raso al suolo. Il cibo è usato come arma di guerra» conclude Rovera, descrivendo le atrocità in corso.

Nel rapporto ci sono i racconti dei testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei, che accusano le milizie di omicidi crudeli e deliberati: «La sera del 16 maggio i soldati hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, nei pressi del confine ugandese. Hanno costretto 8 di loro a entrare in una capanna, ne hanno chiuso la porta, hanno appiccato il fuoco e sparato alla cieca». Amnesty ha incontrato quattro dei sopravvissuti. Raccontano che due dei prigionieri sono stati arsi vivi e altri quattro sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco.

Anche il cibo è un’arma, un’arma di ricatto perché sta diventando sempre più raro. È del 22 giugno scorso il monito delle Nazioni Unite sul fatto che l’insicurezza alimentare abbia raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan. Sia il governo che l’opposizione hanno bloccato le forniture di cibo e le milizie si dedicano a saccheggiare i mercati e le case, limitando l’accesso di cibo ai civili, che non possono nemmeno più andare in cerca di alimenti nei campi, perché verrebbero fermati ai posti di blocco, dove non si può passare con le provviste. «È crudelmente tragico – commenta Joanne Mariner, consulente di Amnesty per le risposte alle crisi – che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza».