La direttrice di Amnesty International Idil Eser è stata arrestata questa notte in Turchia, nei pressi di Istanbul, insieme ad altre 11 persone.
Con altri attivisti per i diritti umani Idil Eser doveva partecipare ad un meeting sulla sicurezza informatica. Secondo quanto riportano i media internazionali, gli arresti sono avvenuti durante il corso di un’operazione a Buyukada, un’isola vicino Istanbul.
L’organizzazione per i diritti umani ha fortemente condannato l’arresto definendolo «un grottesco abuso di potere». Il segretario generale di Amnesty Inernational, Salil Shetty ha dichiarato che «questo abuso di potere evidenzia la precaria situazione degli attivisti per i diritti umani in Turchia». E ha concluso dicendo che «Idil Eser e gli altri arrestati con lei devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni».
Insieme a Idil Eser sono stati arrestati altri sette attivisti per i diritti umani: İlknur Üstün, Günal Kurşun, Nalan Erkem, Nejat Taştan, Özlem Dalkıran, Şeyhmuz Özbekli, Veli Acu, il proprietario dell’albergo dove si svolgeva il meeting e due formatori stranieri, dalla Germania e dalla Svezia.
Per ora non sono state formalizzate accuse contro il gruppo di attivisti e nessuno di loro ha potuto incontrare i legali.
D’altra parte non è la prima volta che l’organizzazione per i diritti umani finisce nel mirino della polizia turca. L’ultima mossa per colpire l’organizzazione, sempre in prima linea per difendere i diritti umani e la libertà di stampa, risale a meno di un mese fa. Lo scorso 7 giugno è stato Taner Kilic, presidente di Amnesty International Turchia, a finire in carcere. Kilic era stato accusato, insieme ad altri 22 avvocati, di essere legato alla rete del predicatore islamico Fethullah Gulen, considerato da Erdogan l’organizzatore del fallito colpo di stato del luglio 2016.
Gulen è stato a lungo un alleato di Erdogan, ma a partire dal 2007 i i dissapori fra i due leader si sono fatti molto forti, fino ad essere ritenuto il responsabile del golpe contro Erdogan. Gulen, esiliato in Pennsylvania, ha sempre negato di essere l’organizzatore del golpe, ma dal luglio 2016 le persone licenziate in Turchia perché ritenuto vicine al suo movimento sono quasi 150mila.
Mancano pochi giorni all’anniversario dal golpe fallito (15 luglio 2016) e la Turchia continua a essere in stato d’emergenza, come imposto dal presidente Erdogan. A distanza di un anno la repressione di Erdogan non sembra arrestarsi, sembra anzi accentuarsi ogni giorno e fino ad ora ha portato all’arresto di oltre 40mila persone accusate di «avere legami con il terrorismo».
In Turchia il clima di sospetto e repressione sta toccando vette mai viste prima, tanto che da Strasburgo il Parlamento europeo chiede di “sospendere i negoziati di adesione con la Turchia se il pacchetto di riforme costituzionali sarà attuato senza modifiche”. Il Parlamento europeo sembra quindi fare un passo indietro, prendendo atto della repressione attuata del governo turco in risposta al tentato golpe.