Pensare, confrontarsi, dare un contributo al dibattito. Lo scrittore Hanif Kureishi si schiera con Corbyn e invita scrittori e intellettuali a partecipare al rilancio della sinistra. Il 13 luglio alle 11 l'incontro al Corviale per Letterature festival di Roma

«Mi piace Corbyn, mi piace il suo manifesto, è molto forte, è quello che serve a questo Paese. I giovani l’hanno votato perché rappresenta la libertà, difende il multiculturalismo, il dialogo, crede nello Stato, nell’education» ha dichiarato Hanif Kureishi, all’indomani del voto in Gran Bretagna. Anche se Theresa May è ancora in sella «è stato comunque un risultato sorprendente. Per questo – rilancia lo scrittore anglo pakistano – il Primo ministro dovrebbe dimettersi».
Autore della sceneggiatura di film dirompenti come My beautiful Laundrette, ed Intimacy, di romanzi come il Budda delle periferie che, nel 1990, celebrava la creatività del melting pot londinese rendendo protagonisti, per la prima volta, immigrati di seconda generazione, Hanif Kureishi ha da poco pubblicato con Bompiani Uno Zero (The Nothing): romanzo dal forte impianto teatrale che evoca Pinter nel tratteggiare la dinamica del rapporto a tre fra un regista ottantenne, sua moglie di vent’anni più giovane e un critico e documentarista compiacente che diventa l’amante di lei. Il non detto, il latente dei rapporti, il coraggio di raccontare la frastagliata geografia del desiderio in età avanzata fanno di questo breve romanzo un piccolo capolavoro di scavo psicologico, aperto alla conoscenza, senza infingimenti. Parte da qui la nostra conversazione. Flemma inglese e sguardo vivo, Kureishi ci accoglie comodamente seduto su un divano di un albergo torinese. Ha un’aria seria, senza vezzi, salvo le due teste di gatto che luccicano alle sue dita, rivelandone l’anima rock.
Come in altri suoi romanzi anche Uno zero affronta un tema inconsueto, regalandoci una figura di donna, Zee che, a più di sessanta anni, scopre di essere attraente per gli uomini. Perché ha scelto questo tema?
Mi interessa da sempre, forse perché sono cresciuto negli anni 60. In quel periodo ci si occupava solo dei giovani. Allora io ho cominciato a chiedermi cosa facessero le persone più anziane. In questo romanzo ho raccontato la storia di un uomo ottantenne, in carrozzina, che se ne sta andando a poco a poco, ma può ancora sentire gli odori, cogliere elementi dal mondo fuori, è ancora vivo, ha ancora vigore e desiderio.
Waldo è un regista famoso, è stato un sessantottino, ma ora ammette che rompere le regole può essere un modo per riconfermarle.
L’ho pensato anche io. Prendi Donald Trump, per esempio, lui è estremamente distruttivo e “anarchico”. Dice cose non convenzionali. Però rompere le regole non fa di lui un rivoluzionario. Non basta. Ma per certa opinione pubblica, in confronto, persone come me e te sono viste come molto conservatrici oggi, perché vogliamo preservare le conquiste degli anni Sessanta e Settanta che riguardano i diritti delle donne e delle minoranze, i servizi sociali, il welfare. Paradossalmente noi passiamo per conservatori e questa è la peggiore posizione che ci potesse capitare, è scioccante.
«Noi pensavamo che tutti volessero diritti e libertà, invece eravamo solo degli snob», constata Waldo amaramente. Lei che ne pensa?
Credevamo che quei valori e ideali fossero condivisi da tutti. Ma oggi viviamo in anni reazionari e questo è spaesante per chi cerca di trasformare se stesso e rendere il mondo migliore.
Il sesso libero come mezzo di liberazione è stata un’altra chimera di quegli anni?
Innamorarsi, fare sesso, realizzarsi nelle relazioni private è quanto mai importante, ma non porta necessariamente benifici alla collettività (ride). Noi di sinistra dobbiamo pensare seriamente a quale futuro possiamo costruire e a come rendere egemoni le nostre idee. Non è facile. In Gran Bretagna i media sono quasi tutti di destra. Abbiamo tantissimi mezzi di comunicazione ma sono pro Brexit, pro Le Pen, pro Trump. È sbalorditivo.
Quanto al Guardian?
Non ci resta che The Guardian, un solo giornale.
E l’Independent?
Ha chiuso. Ora è solo online. Ed è letto ormai da poche persone. Ci troviamo schiacciati all’opposizione. Ma dobbiamo trovare il modo di diventare mainstream.
I giovani che hanno votato per Corbyn e sono contro la Brexit indicano una strada possibile?
I giovani sono sempre molto importanti. Ma in Italia ci sono altissimi livelli di disoccupazione giovanile, come in Spagna. In Inghilterra va leggermente meglio. Ma non troppo. Io ho tre figli, sono preoccupato per il loro futuro, come potranno mantenersi o trovare un appartamento? Finita l’università uno dei miei ragazzi ha cominciato a fare consegne a domicilio in bicicletta, lo stipendio era molto basso, non aveva assicurazione sul lavoro. Il turbo capitalismo ha distrutto ogni sicurezza. Dobbiamo cercare di rendere la sinistra capace di attrarre le persone.
È una bella sfida.
Il problema è che la nostra visione sembra fuori moda, datata. Le ideologie sono crollate, ma dal 1989 non siamo ancora riusciti a rilanciare il socialismo in modo nuovo, facendo cadere i pregiudizi di chi ci affibbia l’immagine di quelli che vogliono tornare alla Germania dell’Est o agli anni Settanta.
Come possiamo fare?
Beh, ripeto, dobbiamo pensare molto, rielaborare le nostre idee, trovarne di nuove. È una grande opportunità per noi. Non abbiamo più un’ideologia ma dobbiamo avere un pensiero nuovo e forte perché il capitalismo si auto-rigenera continuamente. Le persone credono al capitalismo perché pensano di poter diventare ricchi. Si illudono, credono a queste falsità. È un problema anche per noi.
In Italia abbiamo anche un altro guaio: i politici che si dicono di sinistra e rincorrono il centro. Renzi pensa che il neo liberismo offra una prospettiva.
Il neo liberismo ha fallito. Il capitalismo ha fallito. Sta in piedi solo perché sinistra ne ha regimato gli eccessi, impedendogli di esplicare al massimo la sua distruttività. Cinquant’anni fa l’ha temperato con welfare, i servizi sociali, la scuola e la sanità pubblica pubblica. Se distruggi la sinistra, se distruggi le minoranze e i lavoratori, il capitalismo implode. Noi lo sappiamo, il problema è che la gente ancora non lo capisce.
La letteratura può essere anche un modo più coinvolgente per far arrivare questo “messaggio”?
Dobbiamo pensare, parlare e contribuire al dibattito. Detto questo dobbiamo anche prendere atto che negli Usa ci sono buoni media, giornalisti molto bravi, artisti e scrittori di valore ma non sono riusciti a fermare Trump. In Italia le élite culturali detestano Berlusconi ma la gente lo vota. Abbiamo una grossa questione da risolvere.
Gli scrittori e gli intellettuali dovrebbero prendere di più la parola?
È importante parlare, è rapporto con le persone. Per me è sempre stato difficile parlare, forse anche per questo sono diventato uno scrittore. Quando ero ragazzo vivevo nei sobborghi di Londra. La realtà era molto dura, violenta. Non mi sentivo compreso e accettato, pesavano i pregiudizi razzisti. Cominciai a scrivere perché non potevo parlare. E ora mi imbarazza quel me stesso di allora che non riusciva a parlare. Ero inibito. Forse anche per questo oggi mi viene da sottolineare con forza l’importanza della parola perché ti mette in connessione diretta con gli altri, perché ti costringe a venire fuori, altrimenti sono solo congetture.
«L’immaginazione è il mio mestiere ma può essere un posto pericoloso» constata il protagonista di Uno zero. Ma l’immaginazione serve per costruire un mondo diverso. Qual è il suo pensiero?
Io credo che l’immaginazione preceda il cambiamento, occorre immaginare, sognare, come noi possiamo essere diversi, avere un diverso sentire, come possiamo comunicare diversamente con le altre persone. L’immaginazione può essere pericolosa perché, se sei fortunato, può distruggere lo status quo. L’immaginazione è l’inizio del cambiamento.