È un’operazione che richiede tutta una sua scienza la normalizzazione dello sterco. Rendere potabile ciò che prima era solo una rivoltante deiezione ha bisogno di un fortunoso contesto, di un perfetto incastro di eventi che diventano scivolo per digerire l’inammissibile, di una schiera di avvoltoi pronti a tutto per garantire l’autopreservazione, di un’opposizione culturale blanda e sfibrata, della giusta dose di paura (quanto basta per sdoganare la legittimità di un “egoismo solo per legittima difesa”) e di un’informazione prona ai desiderata degli agitatori nei posti di potere.
La normalizzazione non segue i percorsi consueti delle riforme. No. La normalizzazione (che non ha nulla a che vedere con il riformismo o la naturale evoluzione) entra di soppiatto dalla porta del retro per incendiare la folla senza prendersi la responsabilità di informarla e istruirla per poi poter dire “andava fatto così” o “ce lo chiedevano tutti”: oggi, luglio 2017, lo “Ius Soli” (che tra l’altro non lo è nemmeno, se non di nome, tanto che hanno dovuto aggiungerci “temperato” per farci intendere che si tratta di una concessione, una leccata fugace ad un diritto) si blocca in Parlamento perché serve una pausa di riflessione, come ci dicono loro, e perché “molto dipenderà dal clima dell’opinione pubblica” (come mi ha detto ieri un alto dirigente di questo vergognoso centrocentrocentrocentrosinistra che sta al governo).
E se serve recuperare voti a sinistra (perché questi i voti li “recuperano”, come si dice di un cliente scontento da lisciare offrendo il limoncello) allora ci si ingegna in una legge sull’apologia di fascismo (brutta e pasticciata) per dare un colpetto al cerchio e uno alla botte. Una legge che ancora una volta serve più a non perdere fette di mercato piuttosto che avere l’aspirazione di essere una matrice culturale: una legge che vuole punire “istigazione ed apologia dei delitti contro la vita e l’incolumità della persona” nel caso fosse compiuto tramite “telefono, Internet e social network” e non importa che siamo il Paese in cui la xenofobia di antica memoria fascista possa tranquillamente rientrare nei resoconti stenografici del Parlamento come se fossero noccioline.
È un gioco di normalizzazione lenta allo sterco con qua e là qualche contentino, con tutti concentrati ad ammaestrare un popolo bue curando i dettagli della distrazione. Perché poi, giova ricordarlo, alla fine stiamo parlando degli stessi che vorrebbero aiutare i migranti “a casa loro” dimenticando l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra (“Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche”). Sono gli stessi che colonizzano l’Africa per aprire i rubinetti all’Eni e poi si propongono per instaurare ricchezza e democrazia. Sono gli stessi che armano le guerre in giro per il mondo e si propongono per risolverle.
Il problema non è solamente quello di avere (e avere avuto) un governo di centrosinistra che ha sdoganato le politiche della destra. Qui siamo oltre: qui abbiamo un governo che ha deciso di allinearsi al fango per terrore degli elettori, rotolandosi negli inferi di quegli stessi istinti che vorrebbero cancellare da Facebook illudendosi di combatterli così.
Perché la mancata approvazione dello “ius soli” (come il ventiquattrenne morto di appendice e razzismo a Napoli, come l’urlare di “non avere l’obbligo morale di salvare tutti” o come la barzelletta della minaccia di “chiudere i porti” o la scenetta di indignarsi per gli accordi firmati con l’Europa) ha un odore (e un riscontro) ben più putrido di un busto di Mussolini (che putrido rimane). Ma è tutto così realisticamente normale. Invece.
Buon mercoledì.