Più di 5000 professori e ricercatori di 79 università italiane incroceranno le braccia durante la sessione autunnale di esami. Uno sciopero limitato a 24 ore, in concomitanza col primo appello della sessione che va dal 28 agosto al 31 ottobre. Lo scopo della protesta è lo sblocco degli scatti stipendiali e delle progressioni di carriera bloccati nel quinquennio 2011-2015 dall'1 gennaio 2015 (e non dall'1 gennaio 2016, come è attualmente) e il riconoscimento dello stesso quinquennio ai fini giuridici.
Nella lettera di proclamazione dello sciopero, i docenti ripercorrono la genealogia che ha portato alla rottura col governo: la vertenza risale al 2014, quando i prof. scrissero numerose missive di protesta, una lettera al presidente della Repubblica il 2015 e tre al premier tra 2014 e 2016, in seguito alle quali una delegazione di insegnanti era stata ricevuta dalla presidenza del Consiglio. Poi lo sciopero bianco del 2015 e il tentativo di boicottare la Vqr, il meccanismo di valutazione. E infine gli ultimi abboccamenti con delegati del Miur a marzo e a giugno. Senza però ottenere i risultati sperati.
Il soggetto che sta per mobilitarsi non è un vero e proprio sindacato, bensì una rete trasversale di docenti e ricercatori, guidata da tre portavoce, Carlo Vincenzo Ferraro del Politecnico di Torino, Carmela Cappelli della Federico II di Napoli, Paolo D’Achille di Roma Tre. Le loro rivendicazioni sono chiare, ma i problemi dell’università non si limitano al blocco di scatti e classi di carriera voluti dal governo Berlusconi. I docenti sono diminuiti del 12% in sei anni, da 62.753 ai 54977 del 2015. E poi il blocco del turnover, il 18° posto nell’Ocse per quanto riguarda la quota di Pil dedicata alla ricerca e allo sviluppo, come confermano i dati Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario).
Proprio perché le problematiche della scuola sono più grandi e strutturali, Francesco Sinopoli (Flc-Cgil), dalle colonne del Manifesto lancia l’invito ad allargare il fronte della mobilitazione: «Va bene questa vertenza ma bisogna costruire un movimento che tenga dentro tutte le componenti dell’università a cominciare dagli studenti, dai precari e dal personale tecnico-amministrativo che soffre per lo stesso blocco degli stipendi».
Anche per l’associazione studentesca Link - Coordinamento Universitario bisogna evitare frammentazioni interne al mondo universitario. Se è vero che la decisione di scioperare «è stata seguita da una scia di polemiche in aule, biblioteche e bacheche facebook, soprattutto riguardanti la forma della protesta ed i disagi che produrrebbe sugli studenti» e che la componente docente «in questi anni è stata poche volte accanto alle nostre battaglie per i diritti degli studenti e delle studentesse», per Link è comunque necessario «uscire dalla lotta intestina, dalle ritorsioni, dalla visione compartimentale, che alimenta la frammentazione e l’isolamento costante tra le componenti dell’università. Occorre provare a re-indirizzare verso il nemico comune la rabbia di chi vive giornalmente, in forma diversa, le miserie dell’università italiana».
Ad ogni modo i disagi per gli studenti che affronteranno gli esami dopo l’estate, e che magari devono rispettare i ritmi imposti dalle borse di studio, saranno contenuti. I prof. rassicurano: negli atenei in cui è previsto un solo appello per la sessione, i docenti chiederanno alle strutture competenti di fissare un appello straordinario dopo il quattordicesimo giorno successivo alle 24 ore di sciopero. Almeno un appello sarà dunque garantito, e l’estate sui libri di numerosi studenti non sarà stata vana.
Più di 5000 professori e ricercatori di 79 università italiane incroceranno le braccia durante la sessione autunnale di esami. Uno sciopero limitato a 24 ore, in concomitanza col primo appello della sessione che va dal 28 agosto al 31 ottobre. Lo scopo della protesta è lo sblocco degli scatti stipendiali e delle progressioni di carriera bloccati nel quinquennio 2011-2015 dall’1 gennaio 2015 (e non dall’1 gennaio 2016, come è attualmente) e il riconoscimento dello stesso quinquennio ai fini giuridici.
Nella lettera di proclamazione dello sciopero, i docenti ripercorrono la genealogia che ha portato alla rottura col governo: la vertenza risale al 2014, quando i prof. scrissero numerose missive di protesta, una lettera al presidente della Repubblica il 2015 e tre al premier tra 2014 e 2016, in seguito alle quali una delegazione di insegnanti era stata ricevuta dalla presidenza del Consiglio. Poi lo sciopero bianco del 2015 e il tentativo di boicottare la Vqr, il meccanismo di valutazione. E infine gli ultimi abboccamenti con delegati del Miur a marzo e a giugno. Senza però ottenere i risultati sperati.
Il soggetto che sta per mobilitarsi non è un vero e proprio sindacato, bensì una rete trasversale di docenti e ricercatori, guidata da tre portavoce, Carlo Vincenzo Ferraro del Politecnico di Torino, Carmela Cappelli della Federico II di Napoli, Paolo D’Achille di Roma Tre. Le loro rivendicazioni sono chiare, ma i problemi dell’università non si limitano al blocco di scatti e classi di carriera voluti dal governo Berlusconi. I docenti sono diminuiti del 12% in sei anni, da 62.753 ai 54977 del 2015. E poi il blocco del turnover, il 18° posto nell’Ocse per quanto riguarda la quota di Pil dedicata alla ricerca e allo sviluppo, come confermano i dati Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario).
Proprio perché le problematiche della scuola sono più grandi e strutturali, Francesco Sinopoli (Flc-Cgil), dalle colonne del Manifesto lancia l’invito ad allargare il fronte della mobilitazione: «Va bene questa vertenza ma bisogna costruire un movimento che tenga dentro tutte le componenti dell’università a cominciare dagli studenti, dai precari e dal personale tecnico-amministrativo che soffre per lo stesso blocco degli stipendi».
Anche per l’associazione studentesca Link – Coordinamento Universitario bisogna evitare frammentazioni interne al mondo universitario. Se è vero che la decisione di scioperare «è stata seguita da una scia di polemiche in aule, biblioteche e bacheche facebook, soprattutto riguardanti la forma della protesta ed i disagi che produrrebbe sugli studenti» e che la componente docente «in questi anni è stata poche volte accanto alle nostre battaglie per i diritti degli studenti e delle studentesse», per Link è comunque necessario «uscire dalla lotta intestina, dalle ritorsioni, dalla visione compartimentale, che alimenta la frammentazione e l’isolamento costante tra le componenti dell’università. Occorre provare a re-indirizzare verso il nemico comune la rabbia di chi vive giornalmente, in forma diversa, le miserie dell’università italiana».
Ad ogni modo i disagi per gli studenti che affronteranno gli esami dopo l’estate, e che magari devono rispettare i ritmi imposti dalle borse di studio, saranno contenuti. I prof. rassicurano: negli atenei in cui è previsto un solo appello per la sessione, i docenti chiederanno alle strutture competenti di fissare un appello straordinario dopo il quattordicesimo giorno successivo alle 24 ore di sciopero. Almeno un appello sarà dunque garantito, e l’estate sui libri di numerosi studenti non sarà stata vana.