L’indagine 2017 sull’Occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata dalla Commissione Ue conferma l’Italia come patria dei Neet (Not engaged in Education, Employment or Training): i giovani tra i 15 e i 24 anni che non cercano un lavoro né sono impegnati in un percorso di studi o formazione. Quasi un giovane su cinque in Italia fa parte dei Neet e la media italiana è notevolmente più alta (19,9%) rispetto a quella europea (11,5%). Secondo lo studio, tra il 2015 e il 2016 in Italia è aumentato anche il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (11,9%): unico caso in Europa con Estonia e Romania. E la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni nel 2016 è stata del 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, ma che comunque si classifica terza in Europa, dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%).
Secondo questi dati, sembrerebbe quindi che i giovani italiani non vogliano lavorare, né studiare. Purtroppo o per fortuna però non è così, ci sono infatti gravi e numerosi fattori che condizionano le loro scelte. Primo fra tutti, i giovani hanno sempre più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e anche qualora ci riescano la situazione è ben diversa da quella che ci si aspetta. Chi riesce ad ottenere un impiego infatti si trovano nella maggior parte dei casi a firmare contratti temporanei: una soluzione atipica e ad alto rischio precarietà. In più del 15% dei casi i giovani lavoratori hanno contratti a tempo determinato di qualche mese, che comportano anche una minore copertura previdenziale.
Un altro dato significativo e preoccupante per quanto riguarda l’occupazione giovanile è che chi è così fortunato da trovare un impiego guadagna in media il 60% in meno rispetto ad un lavoratore ultrasessantenne. Inoltre con tutta probabilità le nuove generazioni avranno pensioni più basse rispetto alla loro remunerazione e l’indagine dell’Esde prevede che da oggi al 2060 assisteremo ad un calo dello 0,3% annuo della popolazione in età lavorativa. Ad attenderci sarà quindi un futuro in cui una forza lavorativa ridotta dovrà fronteggiare un numero sempre crescente di anziani a cui pagare la pensione.
La conseguenza è che i giovani italiani si rendono indipendenti e diventano a loro volta genitori tra i 31 e i 32 anni, molti anni più tardi rispetto ad una decina di anni fa e molto dopo la media europea: i giovani europei infatti vivono da soli e fanno figli già dai 26 anni. A questo si aggiunge un sistema scolastico che abbandona lo studente una volta finiti gli studi superiori e che non prevede veri e propri percorsi che aiutino lo studente a trovare la propria strada per il futuro. Inoltre in media chi riesce a laurearsi aspetta almeno 36 mesi prima di trovare un impiego (se si è abbastanza fortunati da averlo) e anche chi è in questo limbo risulta essere parte dei cosiddetti Neet.
Questa grande fetta di giovani ovviamente ha un costo significativo per lo Stato: circa 36 miliardi di euro, pari al 2% del Pil. Secondo il rapporto Young workers index di PricewaterhouseCoopers del 2016 per far crescere il Pil del nostro Paese dal 7 al 9% sarebbe sufficiente trovare un lavoro a questi giovani Neet. Secondo la stimata società di consulenza infatti i Neet rappresentano un enorme spreco per le casse del nostro Stato: sono un valore potenziale pari a mille miliardi di dollari. A riuscire nel difficile compito di impiegare questa enorme forza lavorativa è stata, ad esempio, la Germania che oggi è il secondo miglior paese (dopo la Svizzera) per le opportunità offerte ai giovani. Negli ultimi anni la Germania è riuscita a rilanciare i propri giovani partendo da un programma scolastico in cui viene dato ampio spazio all’alternanza scuola-lavoro: oltre il 50% degli studenti tedeschi sono infatti coinvolti in periodi di formazione in aziende.
L’alternanza scuola-lavoro è stata una delle principali innovazioni della riforma della cosiddetta Buona Scuola voluta da Renzi che ha destato varie polemiche, ma che in Germania sembra essere stata una carta vincente per inserire i giovani nel mercato del lavoro. Per capire se effettivamente questa riforma possa funzionare è ancora presto: ci vorrà qualche anno per capire se effettivamente la riforma aiuterà l’Italia a sbloccare la precaria condizione dei Neet. Il quadro emerso dall’inchiesta presentata lo scorso 29 maggio dall’Unione degli studenti non è però rassicurante. Lo studio, svolto su 15mila studenti di scuole superiori di nove regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Toscana, Abruzzo, Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia) riporta che il 57% dei ragazzi intervistati ha partecipato a percorsi di alternanza scuola-lavoro non inerenti al proprio percorso di studi, mentre 4 studenti su 10 ammettono di non essere stati messi nelle condizioni di poter studiare, oltre a lavorare, o di essere seguiti da un tutor, entrambi diritti che gli sarebbero dovuti essere stati garantiti per legge.