Più della bolla immobiliare che aleggia su Shangai e sulle borse finanziarie, più dei fattori di rischio della sovrapproduzione: oggi è Winnie the Pooh a far paura a Pechino. Per la censura cinese l'orso arancione è soggetto sgradito, perché per i cittadini a Levante «l’orsetto con poco cervello» - secondo la descrizione del suo stesso autore - è il presidente Xi Jinping. La notizia è sul Financial Times in prima pagina: la censura digitale cinese ha eliminato Winnie senza spiegazioni dai social network, dalle chat e da tutto il resto del web. Su Sina Weibo, il whatsapp cinese, se si prova a scrivere il nome Winnie sul cellulare, la scritta che appare è: «questo contenuto è illegale». L'immagine di Xi Jinping in macchina, accostata a quella di Winnie in auto, è stata l'immagine più censurata del 2016, secondo l'istituto Global Risk Insight. Le foto del presidente cinese accostate a quelle di Winnie sono diventate virali nel 2013, dopo una visita dell'ex presidente Obama, nella stessa posa di Tigro, l'amico dell'orso. È bandito anche Eeyeroe, asino triste di pezza, perché nelle caricature dei commentatori digitali è Shinzo Abe, il premier giapponese. Qiau Mu, professore della comunicazione e media alla Beijing Foreign Studies University, ha detto al quotidiano americano che in Cina «due cose sono storicamente vietate: l'organizzazione politica e l'azione politica. Adesso si è aggiunta la terza: non parlare del presidente. Winnie fa parte del trend» e ha ricordato che alcuni utenti che hanno commentato online il governo sono finiti in detenzione. Prove di oblio per censori efficienti, prove di fantasia per gli utenti che usano adesso parole inventate e metafore per continuare a commentare la politica del loro presidente. Nemmeno un orso che non esiste può tentare di minare il potere di Xi, che in autunno dovrà essere riconfermato al Congresso. Nel paese del Dragone non c'è bisogno di spiegazioni ufficiali per decidere di bandire un'immagine o vietare una parola. Dopo la morte del dissidente cinese Liu Xiaobo pochi giorni fa, la parola scomparsa dal web in Cina è stata RIP.

Più della bolla immobiliare che aleggia su Shangai e sulle borse finanziarie, più dei fattori di rischio della sovrapproduzione: oggi è Winnie the Pooh a far paura a Pechino. Per la censura cinese l’orso arancione è soggetto sgradito, perché per i cittadini a Levante «l’orsetto con poco cervello» – secondo la descrizione del suo stesso autore – è il presidente Xi Jinping.

La notizia è sul Financial Times in prima pagina: la censura digitale cinese ha eliminato Winnie senza spiegazioni dai social network, dalle chat e da tutto il resto del web. Su Sina Weibo, il whatsapp cinese, se si prova a scrivere il nome Winnie sul cellulare, la scritta che appare è: «questo contenuto è illegale».

L’immagine di Xi Jinping in macchina, accostata a quella di Winnie in auto, è stata l’immagine più censurata del 2016, secondo l’istituto Global Risk Insight. Le foto del presidente cinese accostate a quelle di Winnie sono diventate virali nel 2013, dopo una visita dell’ex presidente Obama, nella stessa posa di Tigro, l’amico dell’orso. È bandito anche Eeyeroe, asino triste di pezza, perché nelle caricature dei commentatori digitali è Shinzo Abe, il premier giapponese.

Qiau Mu, professore della comunicazione e media alla Beijing Foreign Studies University, ha detto al quotidiano americano che in Cina «due cose sono storicamente vietate: l’organizzazione politica e l’azione politica. Adesso si è aggiunta la terza: non parlare del presidente. Winnie fa parte del trend» e ha ricordato che alcuni utenti che hanno commentato online il governo sono finiti in detenzione.

Prove di oblio per censori efficienti, prove di fantasia per gli utenti che usano adesso parole inventate e metafore per continuare a commentare la politica del loro presidente. Nemmeno un orso che non esiste può tentare di minare il potere di Xi, che in autunno dovrà essere riconfermato al Congresso. Nel paese del Dragone non c’è bisogno di spiegazioni ufficiali per decidere di bandire un’immagine o vietare una parola. Dopo la morte del dissidente cinese Liu Xiaobo pochi giorni fa, la parola scomparsa dal web in Cina è stata RIP.