Il 25 luglio, la legge sul testamento biologico arriva in Senato dopo essere stata approvata in aprile dalla Camera. Potrebbe pertanto chiudersi un iter iniziato nove anni fa dopo la morte di Eluana Englaro. Fortunatamente lo scellerato ddl che fu presentato allora dalle destre negli anni ha cambiato “volto” e relatori. Erano i tempi in cui il senatore Quagliariello urlava sguaiatamente: «Eluana non è morta, l’hanno ammazzata». Si voleva far passare l’idea falsa e antiscientifica secondo cui interrompere il flusso di un sondino nasogastrico equivalesse a far morire di fame una persona in stato vegetativo persistente. Circa un anno dopo, nell’aprile del 2010, ebbi la fortuna di poter rivolgere alcune domande a Stefano Rodotà. Il ddl caro a Quagliarello, Berlusconi e compagnia era arenato in Parlamento ma toccammo lo stesso questo tema. Ancora oggi le sue risposte rimangono di estrema attualità. Anche per questo sappiamo già che il 25 luglio sentiremo più che mai la mancanza di una persona, di un intellettuale, di un laico come il grande giurista scomparso di recente. Professor Rodotà, le istituzioni stanno perdendo il senso di laicità dello Stato. C’è il rischio che accada anche in ambito scientifico-culturale? Se usiamo la categoria della laicità, io penso che sia corretto farlo pensando alla laicità come autonomia. Nel momento in cui la ricerca scientifica perde autonomia, diventa “strumento di”. In qualche modo è indotta o costretta ad allinearsi e perde di rigore scientifico e in misura notevole altera la qualità del dibattito pubblico. Ci spieghi meglio. I sintomi sono diversi. Ormai, in alcune materie particolarmente sensibili appena si prende una posizione si viene etichettati. Guardiamo alla bioetica. Oggi il dibattito è in questi termini: stai dalla parte della maggioranza o dell’opposizione? Pensiamo a come è gestita la presenza degli studiosi nei media. In tv ci deve essere sempre il contraddittorio con chi studioso non è, i giornali presentano sempre due pareri contrapposti, uno pro e uno contro. In questo modo viene banalizzato l’intervento e si da la sensazione che non ci sia la possibilità di sfuggire a questa categorizzazione. Pensando alla legge 40, agli attacchi contro l’aborto, all’assenza di una legge sul Testamento biologico, oggi ci ritroviamo impegnati in battaglie per difendere diritti che si davano per acquisiti. C’è stata una fase in cui il rapporto tra politica e cultura era molto intenso. Non c’era subordinazione e nemmeno c’erano i “consiglieri del principe”. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'intervista inedita a Stefano Rodotà prosegue su Left in edicola

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Il 25 luglio, la legge sul testamento biologico arriva in Senato dopo essere stata approvata in aprile dalla Camera. Potrebbe pertanto chiudersi un iter iniziato nove anni fa dopo la morte di Eluana Englaro. Fortunatamente lo scellerato ddl che fu presentato allora dalle destre negli anni ha cambiato “volto” e relatori. Erano i tempi in cui il senatore Quagliariello urlava sguaiatamente: «Eluana non è morta, l’hanno ammazzata». Si voleva far passare l’idea falsa e antiscientifica secondo cui interrompere il flusso di un sondino nasogastrico equivalesse a far morire di fame una persona in stato vegetativo persistente. Circa un anno dopo, nell’aprile del 2010, ebbi la fortuna di poter rivolgere alcune domande a Stefano Rodotà. Il ddl caro a Quagliarello, Berlusconi e compagnia era arenato in Parlamento ma toccammo lo stesso questo tema. Ancora oggi le sue risposte rimangono di estrema attualità. Anche per questo sappiamo già che il 25 luglio sentiremo più che mai la mancanza di una persona, di un intellettuale, di un laico come il grande giurista scomparso di recente.

Professor Rodotà, le istituzioni stanno perdendo il senso di laicità dello Stato. C’è il rischio che accada anche in ambito scientifico-culturale?

Se usiamo la categoria della laicità, io penso che sia corretto farlo pensando alla laicità come autonomia. Nel momento in cui la ricerca scientifica perde autonomia, diventa “strumento di”. In qualche modo è indotta o costretta ad allinearsi e perde di rigore scientifico e in misura notevole altera la qualità del dibattito pubblico.

Ci spieghi meglio.

I sintomi sono diversi. Ormai, in alcune materie particolarmente sensibili appena si prende una posizione si viene etichettati. Guardiamo alla bioetica. Oggi il dibattito è in questi termini: stai dalla parte della maggioranza o dell’opposizione? Pensiamo a come è gestita la presenza degli studiosi nei media. In tv ci deve essere sempre il contraddittorio con chi studioso non è, i giornali presentano sempre due pareri contrapposti, uno pro e uno contro. In questo modo viene banalizzato l’intervento e si da la sensazione che non ci sia la possibilità di sfuggire a questa categorizzazione.

Pensando alla legge 40, agli attacchi contro l’aborto, all’assenza di una legge sul Testamento biologico, oggi ci ritroviamo impegnati in battaglie per difendere diritti che si davano per acquisiti.

C’è stata una fase in cui il rapporto tra politica e cultura era molto intenso. Non c’era subordinazione e nemmeno c’erano i “consiglieri del principe”.

L’intervista inedita a Stefano Rodotà prosegue su Left in edicola


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).