Quando, in primavera, si andrà al voto, lo scontro tra i partiti verterà principalmente sulle questioni dell’immigrazione. In vista di una ossessiva campagna che rischia di essere monotematica, tutta incardinata sulla sicurezza e sulle scorribande barbariche alle porte, i toni del confronto subiranno una accentuazione retorica ancor più incontrollata di adesso. Lo ius soli è, in questo quadro, la vittima annunciata di una esasperazione del tutto strumentale delle istanze di difesa dei confini etnico-culturali di un territorio raffigurato come impotente luogo di conquista destinato all’invasione di alieni, spesso dal colore scuro. Nel momento stesso in cui Renzi ha scandito il motto salviniano dell’aiutiamoli a casa loro, i diritti di cittadinanza delle persone che nascono, vivono, studiano e lavorano in Italia cadevano nell’oblio. L’unità politica dei cattolici è stata ripristinata sul collante di un tema etico-politico come quello della cittadinanza da negare e il postdemocristiano Renzi si riconcilia con il postdemocristiano Alfano alfiere della crociata contro gli infedeli che affluiscono in occidente. Considerare straniero chi nasce e risiede in Italia, condivide cioè le stesse passioni e conduce le stesse pratiche di vita che maturano in un territorio comune, alimenta una visione bellica della convivenza di persone che occupano lo stesso spazio. Questo apartheid silenzioso, che divide lo stesso territorio in un ambito amico riservato ai bianchi, e magari cattolici e in un universo nemico popolato da corpi di altro colore e con altri simboli di fede, in prospettiva produrrà problemi enormi nella convivenza civile. Il rifiuto della inclusione attraverso gli strumenti giuridici della cittadinanza solo in apparenza è un segno di forza. In realtà la chiusura nelle strategie della cittadinanza è una manifestazione di debolezza e inaugura una stagione di profonda regressione nel tessuto civile del Paese. Il piccolo padroncino, che sostiene la destra leghista, per i suoi interessi economici si serve dell’immigrazione, anche di quella incontrollata, perché percepisce, nella creazione anomala di un esercito industriale di riserva, lo strumento per una contrazione dei diritti del lavoro, per la riduzione dei costi, per il ricatto sui dipendenti. Dopo essersi avvalso del lavoro dei migranti come calmiere del salario e come riduttore dei diritti, il padroncino organizza la protesta politica contro gli immigrati che producono insicurezza, disagio, abbandono degli spazi pubblici. Attorno allo ius soli si gioca anche un piccolo episodio di lotta di classe. Mantenere milioni di lavoratori senza diritti di cittadinanza è infatti una maniera antica per dividere il mondo dei subalterni tramite la reclusione civile di schiere di proletari e di sottoproletari che sono condannati a rimanere afoni dinanzi alla potenza del padrone. Costruendo barriere etico-giuridiche tra corpi che lavorano e convivono negli stessi luoghi della produzione e distribuzione delle merci, il capitale racimola ulteriori effetti di padronanza. Mettendo al centro della contesa il tema rinverdito della difesa della purezza etnico-nazionale calpestata dai figli dei migranti, la politica subirà un ulteriore scivolamento culturale verso destra. E meno diritti per la persona che lavora, e che ha un altro colore, non significa certo conservare i diritti per gli italici che, con una fabbrica mediatica della falsificazione, si sentono assediati e non più padroni a casa loro. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

Il commento di Michele Prospero è tratto dal numero di Left in edicola

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Quando, in primavera, si andrà al voto, lo scontro tra i partiti verterà principalmente sulle questioni dell’immigrazione. In vista di una ossessiva campagna che rischia di essere monotematica, tutta incardinata sulla sicurezza e sulle scorribande barbariche alle porte, i toni del confronto subiranno una accentuazione retorica ancor più incontrollata di adesso. Lo ius soli è, in questo quadro, la vittima annunciata di una esasperazione del tutto strumentale delle istanze di difesa dei confini etnico-culturali di un territorio raffigurato come impotente luogo di conquista destinato all’invasione di alieni, spesso dal colore scuro. Nel momento stesso in cui Renzi ha scandito il motto salviniano dell’aiutiamoli a casa loro, i diritti di cittadinanza delle persone che nascono, vivono, studiano e lavorano in Italia cadevano nell’oblio. L’unità politica dei cattolici è stata ripristinata sul collante di un tema etico-politico come quello della cittadinanza da negare e il postdemocristiano Renzi si riconcilia con il postdemocristiano Alfano alfiere della crociata contro gli infedeli che affluiscono in occidente. Considerare straniero chi nasce e risiede in Italia, condivide cioè le stesse passioni e conduce le stesse pratiche di vita che maturano in un territorio comune, alimenta una visione bellica della convivenza di persone che occupano lo stesso spazio. Questo apartheid silenzioso, che divide lo stesso territorio in un ambito amico riservato ai bianchi, e magari cattolici e in un universo nemico popolato da corpi di altro colore e con altri simboli di fede, in prospettiva produrrà problemi enormi nella convivenza civile. Il rifiuto della inclusione attraverso gli strumenti giuridici della cittadinanza solo in apparenza è un segno di forza. In realtà la chiusura nelle strategie della cittadinanza è una manifestazione di debolezza e inaugura una stagione di profonda regressione nel tessuto civile del Paese. Il piccolo padroncino, che sostiene la destra leghista, per i suoi interessi economici si serve dell’immigrazione, anche di quella incontrollata, perché percepisce, nella creazione anomala di un esercito industriale di riserva, lo strumento per una contrazione dei diritti del lavoro, per la riduzione dei costi, per il ricatto sui dipendenti. Dopo essersi avvalso del lavoro dei migranti come calmiere del salario e come riduttore dei diritti, il padroncino organizza la protesta politica contro gli immigrati che producono insicurezza, disagio, abbandono degli spazi pubblici. Attorno allo ius soli si gioca anche un piccolo episodio di lotta di classe. Mantenere milioni di lavoratori senza diritti di cittadinanza è infatti una maniera antica per dividere il mondo dei subalterni tramite la reclusione civile di schiere di proletari e di sottoproletari che sono condannati a rimanere afoni dinanzi alla potenza del padrone. Costruendo barriere etico-giuridiche tra corpi che lavorano e convivono negli stessi luoghi della produzione e distribuzione delle merci, il capitale racimola ulteriori effetti di padronanza. Mettendo al centro della contesa il tema rinverdito della difesa della purezza etnico-nazionale calpestata dai figli dei migranti, la politica subirà un ulteriore scivolamento culturale verso destra. E meno diritti per la persona che lavora, e che ha un altro colore, non significa certo conservare i diritti per gli italici che, con una fabbrica mediatica della falsificazione, si sentono assediati e non più padroni a casa loro.

Il commento di Michele Prospero è tratto dal numero di Left in edicola


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