Credo non ci siano molte parole da dire e da scrivere oggi. Ci sono giorni in cui è difficile pensare ed è ancora più difficile scrivere. Non che i pensieri non ci siano. Quello no. Ma sono forse più sensazioni che parole. Come una tristezza che non lo è ancora. Ma che non riesce ad esserlo fino in fondo. Poi accade che ascolti una musica o leggi una frase o vedi un disegno… e le lacrime improvvise non ti fanno più vedere. Ma poi il dolore del cuore ti fa tornare il pensiero nella mente. Ci sono momenti come questo di grande difficoltà. Non vogliamo lasciare il sentire che ci rende umani perché altrimenti sembra che tutto sia finito. La reazione fredda è in agguato dietro l’angolo. Un po’ di Mozart forse aiuta. Quel suo modo del tutto particolare di accostare movimenti sonori di infinita tristezza a melodie di pura gioia. Momenti di pianto a risate meravigliose. Un assurdo sentire che ti sballotta tra il pianto e il riso, senza un apparente perché. Ricordo da bambino quello che mi piaceva era il sentire che in quella musica c’era come un filo continuo. Un filo che non si interrompeva mai e che ti costringeva a seguire quel pensiero senza parole. È solo suono. Ed è bella l’idea che al tempo di Mozart fosse una forma d’arte che poteva essere fruita solo con un esecuzione dal vivo. Non esistevano registratori. Una performance di qualcosa di completamente irrazionale e di cui non rimaneva alcuna traccia dopo che era stata eseguita. Come fai a raccontare a parole il piano concerto n. 21 (k467) dopo che lo hai ascoltato? Solo la memoria di un filo e di una sensazione. Un’attività fatta di movimenti del corpo di musicisti che creano un suono… che dice e racconta qualcosa di completamente irrazionale e non raccontabile… con le parole. Mi scusi il lettore che ha letto finora se sto rubando il suo tempo con questi discorsi un po’ strampalati. È che forse ora ho scoperto il motivo di questa tristezza. Dipende forse da un libro, nuovo, che ho visto che ha una copertina disegnata e un titolo che sembra un gioco di parole. Parole che apparentemente non si comprendono. Come fossero una musica fatta solo di parole scritte e silenziose... Questa idea affascinante della musica nelle parole scritte è una cosa di cui ha scritto moltissimo Massimo Fagioli nella sua rubrica qui su Left. E la parola suono compare tra le 21 parole del 2 luglio di un anno fa. E forse ora comprendo meglio la tristezza e il perché la musica la allevia. È stato un anno... e non ho il coraggio di completare la frase. Perché è stato un anno grande e bellissimo… ma è stato un anno tragico. Quello che non pensavo ora lo riesco a pensare. Ciò che non si può descrivere a parole come in un concerto è la voce di un bambino appena nato. Il suo vagito che dice “io sono”. Quello che Fagioli è riuscito a raccontare e comprendere con il suo bellissimo scrivere è proprio quel suono senza parole che viene solo sentito e rappresentato dalla musica e quel pensiero senza voce che compare la notte a cui non è mai stata dignità di pensiero umano. Conoscenza dell’istinto di morte. È questo il titolo del libro che ho visto. Sembra un gioco di parole con il titolo del suo primo libro. Ma forse dice qualcosa di questa enorme eredità di pensiero che ha lasciato a noi Massimo Fagioli. È una responsabilità e una necessità. La necessità e l’obbligo di essere esseri umani. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola

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Credo non ci siano molte parole da dire e da scrivere oggi.
Ci sono giorni in cui è difficile pensare ed è ancora più difficile scrivere. Non che i pensieri non ci siano. Quello no. Ma sono forse più sensazioni che parole. Come una tristezza che non lo è ancora. Ma che non riesce ad esserlo fino in fondo.
Poi accade che ascolti una musica o leggi una frase o vedi un disegno… e le lacrime improvvise non ti fanno più vedere. Ma poi il dolore del cuore ti fa tornare il pensiero nella mente.
Ci sono momenti come questo di grande difficoltà. Non vogliamo lasciare il sentire che ci rende umani perché altrimenti sembra che tutto sia finito.
La reazione fredda è in agguato dietro l’angolo.
Un po’ di Mozart forse aiuta. Quel suo modo del tutto particolare di accostare movimenti sonori di infinita tristezza a melodie di pura gioia. Momenti di pianto a risate meravigliose.
Un assurdo sentire che ti sballotta tra il pianto e il riso, senza un apparente perché.
Ricordo da bambino quello che mi piaceva era il sentire che in quella musica c’era come un filo continuo. Un filo che non si interrompeva mai e che ti costringeva a seguire quel pensiero senza parole. È solo suono.
Ed è bella l’idea che al tempo di Mozart fosse una forma d’arte che poteva essere fruita solo con un esecuzione dal vivo. Non esistevano registratori.
Una performance di qualcosa di completamente irrazionale e di cui non rimaneva alcuna traccia dopo che era stata eseguita.
Come fai a raccontare a parole il piano concerto n. 21 (k467) dopo che lo hai ascoltato?
Solo la memoria di un filo e di una sensazione.
Un’attività fatta di movimenti del corpo di musicisti che creano un suono… che dice e racconta qualcosa di completamente irrazionale e non raccontabile… con le parole.
Mi scusi il lettore che ha letto finora se sto rubando il suo tempo con questi discorsi un po’ strampalati.
È che forse ora ho scoperto il motivo di questa tristezza.
Dipende forse da un libro, nuovo, che ho visto che ha una copertina disegnata e un titolo che sembra un gioco di parole.
Parole che apparentemente non si comprendono. Come fossero una musica fatta solo di parole scritte e silenziose…
Questa idea affascinante della musica nelle parole scritte è una cosa di cui ha scritto moltissimo Massimo Fagioli nella sua rubrica qui su Left.
E la parola suono compare tra le 21 parole del 2 luglio di un anno fa.
E forse ora comprendo meglio la tristezza e il perché la musica la allevia. È stato un anno… e non ho il coraggio di completare la frase. Perché è stato un anno grande e bellissimo… ma è stato un anno tragico.
Quello che non pensavo ora lo riesco a pensare. Ciò che non si può descrivere a parole come in un concerto è la voce di un bambino appena nato. Il suo vagito che dice “io sono”.
Quello che Fagioli è riuscito a raccontare e comprendere con il suo bellissimo scrivere è proprio quel suono senza parole che viene solo sentito e rappresentato dalla musica e quel pensiero senza voce che compare la notte a cui non è mai stata dignità di pensiero umano.
Conoscenza dell’istinto di morte. È questo il titolo del libro che ho visto.
Sembra un gioco di parole con il titolo del suo primo libro. Ma forse dice qualcosa di questa enorme eredità di pensiero che ha lasciato a noi Massimo Fagioli.
È una responsabilità e una necessità. La necessità e l’obbligo di essere esseri umani.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola


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