Sky News Arabia - una joint venture tra una compagnia di Abu Dhabi e Sky Gran Bretagna - ha mandato in onda un documentario che rivelerebbe i legami di Doha con i terroristi coinvolti nell'attacco alle Twin Towers a New York dell'undici settembre. Nel frattempo un giornale saudita, l'Okaz, ha pubblicato la notizia che ai magazzini Harrods - negozi di Londra di proprietà qatariota - verrebbero rubate informazioni alle carte di credito dei clienti a favore dell'embargo al Qatar. Dall’altra parte della “trincea”, i media di Doha hanno scritto invece che l'Arabia Saudita avrebbe punito chiunque avesse anche solo indossato una maglietta del FC Barcellona, squadra calcistica sponsorizzata dalla Qatar Airways.

La battaglia della propaganda nei media del Golfo, insomma, sta diventando brutale e in tutti gli stati impegnati nella guerra contro Doha – Emirati arabi, Arabia Saudita, Bahrain ed Egitto - «i cani da guerra dei media sono stati slegati», commenta il Financial Times.

I media del Golfo sono stati sempre sotto controllo governativo e il lancio di Al Jazeera nel 1996 ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare giornalismo in Medio Oriente. Ora però, contro la tv multi-lingua e la sua narrativa, sono state sollevate altre due teste d'ariete, i due colossi Sky news Arabia e Al Arabiya, una televisione governativa saudita che ha fatto saltare ieri dalle poltrone i suoi spettatori, quando ha definito il Qatar “regime canaglia” e ha insultato l'emiro che lo guida, Sheikh Tamin bin Hamad al Thani.

L'embargo nei confronti del Qatar non riguarda solo beni materiali, ma anche gli accessi mediaci a fonti di notizie e media, bloccati da mesi negli stati arabi che accusano Doha di finanziare e fiancheggiare l'Iran e Hamas. Al Jazeera ha commentato l'embargo definendolo «un immaturo atto politico, compiuto da paesi che impongono strutture beduine a istituzioni statali moderne».

Questa crisi diplomatica - per il momento - procede dunque a colpi giornalistici: «i media sono diventati le core weapons, armi principali. Storicamente l'Arabia Saudita era conservatrice, ma questa volta abbiamo visto che si sta togliendo i guanti» ha detto Awad al Fayadh, della televisione saudita Mbc. La crisi del Golfo è a un punto morto, Doha continua a respingere le accuse di terrorismo che le vengono imputate, al Jazeera di certo non chiuderà, «ma la battaglia continua, gli stati rivali usano i media come cani da guerra per far si che continui, non solo per interessi interni, domestici, ma anche per guadagnare consenso tra gli alleati occidentali».

Per i giornalisti che sostengono le pressanti richieste delle nazioni arabe di chiusura della rete Al Jazeera, questi metodi - colpi di propaganda e fake news - sono giustificati «perché è quello che ha fatto la tv di Doha, destabilizzando la regione per anni. Oggi il governo ha capito che la battaglia deve essere combattuta usando gli stessi metodi».

Sky News Arabia – una joint venture tra una compagnia di Abu Dhabi e Sky Gran Bretagna – ha mandato in onda un documentario che rivelerebbe i legami di Doha con i terroristi coinvolti nell’attacco alle Twin Towers a New York dell’undici settembre. Nel frattempo un giornale saudita, l’Okaz, ha pubblicato la notizia che ai magazzini Harrods – negozi di Londra di proprietà qatariota – verrebbero rubate informazioni alle carte di credito dei clienti a favore dell’embargo al Qatar. Dall’altra parte della “trincea”, i media di Doha hanno scritto invece che l’Arabia Saudita avrebbe punito chiunque avesse anche solo indossato una maglietta del FC Barcellona, squadra calcistica sponsorizzata dalla Qatar Airways.

La battaglia della propaganda nei media del Golfo, insomma, sta diventando brutale e in tutti gli stati impegnati nella guerra contro Doha – Emirati arabi, Arabia Saudita, Bahrain ed Egitto – «i cani da guerra dei media sono stati slegati», commenta il Financial Times.

I media del Golfo sono stati sempre sotto controllo governativo e il lancio di Al Jazeera nel 1996 ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare giornalismo in Medio Oriente. Ora però, contro la tv multi-lingua e la sua narrativa, sono state sollevate altre due teste d’ariete, i due colossi Sky news Arabia e Al Arabiya, una televisione governativa saudita che ha fatto saltare ieri dalle poltrone i suoi spettatori, quando ha definito il Qatar “regime canaglia” e ha insultato l’emiro che lo guida, Sheikh Tamin bin Hamad al Thani.

L’embargo nei confronti del Qatar non riguarda solo beni materiali, ma anche gli accessi mediaci a fonti di notizie e media, bloccati da mesi negli stati arabi che accusano Doha di finanziare e fiancheggiare l’Iran e Hamas. Al Jazeera ha commentato l’embargo definendolo «un immaturo atto politico, compiuto da paesi che impongono strutture beduine a istituzioni statali moderne».

Questa crisi diplomatica – per il momento – procede dunque a colpi giornalistici: «i media sono diventati le core weapons, armi principali. Storicamente l’Arabia Saudita era conservatrice, ma questa volta abbiamo visto che si sta togliendo i guanti» ha detto Awad al Fayadh, della televisione saudita Mbc. La crisi del Golfo è a un punto morto, Doha continua a respingere le accuse di terrorismo che le vengono imputate, al Jazeera di certo non chiuderà, «ma la battaglia continua, gli stati rivali usano i media come cani da guerra per far si che continui, non solo per interessi interni, domestici, ma anche per guadagnare consenso tra gli alleati occidentali».

Per i giornalisti che sostengono le pressanti richieste delle nazioni arabe di chiusura della rete Al Jazeera, questi metodi – colpi di propaganda e fake news – sono giustificati «perché è quello che ha fatto la tv di Doha, destabilizzando la regione per anni. Oggi il governo ha capito che la battaglia deve essere combattuta usando gli stessi metodi».