Cala Mariolu e Bidde Rosa, nel golfo di Orosei, in provincia di Nuoro. Cala Coticcio nel sassarese e poi la Pelosa lungo la Nurra, in provincia di Alghero, così come Maria Pia. Spiagge d’incanto. La Sardegna regala certezze, ogni anno. Il mare é il protagonista con i suoi fondali, le sue acque cristalline. Le coste sono un richiamo irresistibile. La natura è lì a portata di mano, spesso ancora incontaminata. Nonostante ci sia da sempre chi voglia farne altro, stravolgendone i caratteri distintivi. Aggiungendo ancora costruzioni, di ogni tipo, di impatto differente, ma in ogni caso devastante. Resort, hotel a cinque stelle, strutture ricettive. La chiamano «saper rispondere alle esigenze del turismo», «capacità di offerta diversificata». Se si trattasse soltanto di questo non ci sarebbe poi da stupirsi. Il mare é bello, la natura anche, ma poi in pochi pernotterebbero all’aria aperta. Naturale che sia così. Nella realtà sembra qualcosa di molto differente. Si tratta del tentativo, neppure tanto celato, di puntare sul turismo nella maniera più scriteriata e autolesionistica possibile. Incrementando oltre misura i servizi ricettivi. Ma così facendo, sostanzialmente minando alle fondamenta quel che spinge la gran parte dei villeggianti a scegliere la Sardegna, il suo mare, le sue coste, la sua cultura.
In questo senso il disegno di legge urbanistica, approvato a marzo dalla giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru, è molto chiaro. Ci sono, eccome, le deroghe per intervenire nella fascia dei 300 metri dal mare, (tutelata dal piano Paesaggistico Soru) attraverso il miglioramento e l’ampliamento delle strutture ricettive con un incremento volumetrico massimo del 25%. «Nella nostra proposta nella fascia dei 300 metri si possono fare poche cose di buon senso. Nessun nuovo albergo, per esempio. Solo ed esclusivamente la possibilità per gli alberghi che già esistono di adeguare le proprie strutture al fine di affrontare meglio un mercato turistico che in questi anni è cambiato enormemente. E per aiutarci a portare i turisti nelle stagioni di spalla, non solo a luglio e ad agosto. Nient’altro. Il tutto con controlli severi per garantire la serietà dei progetti che verranno presentati», ha scritto Pigliaru su facebook. Giustificazioni che non cambiano la sostanza per le associazioni ambientaliste, ma anche per colleghi di partito come Simone Campus, assessore al Bilancio del Comune di Sassari e Matteo Lecis Cocco Ortu, consigliere comunale di Cagliari. Un pericolo per chiunque abbia a cuore la salvaguardia paesaggistica dell’isola. Per chiunque coniughi tutela e valorizzazione dei luoghi con presunto sviluppo. Ma si sa il partito dei disinvolti cementificatori conta su un esercito. Al quale appartiene di diritto Flavio Briatore.
«Posti straordinari, ma i sardi vogliono fare i pastori non turismo», ha detto il marito di Elisabetta Gregoraci lo scorso settembre, parlando, a (s)proposito, di come l’isola non perseguisse adeguate politiche di sviluppo. Già, perché accade spesso e non solo in Sardegna. L’idea che il turismo vada inseguito «a prescindere», anche se comporta sfregi reiterati al paesaggio, ha molti sostenitori. Sono proprio questi che vorrebbero vedere delegittimate le salvaguardie assicurate dal piano paesaggistico regionale del 2006, insomma la cosiddetta Legge Salvacoste, voluta dall’allora Governatore Soru. Gli stessi, capeggiati da non pochi amministratori locali, che si adoperarono perché il consiglio dei ministri impugnasse la Legge regionale n. 8 del novembre 2004 riguardante le «Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale». In quella occasione a puntare i piedi contro una misura che «blocca lo sviluppo» e assesta «un colpo mortale al turismo dell’Isola», tra gli altri, i sindaci di Olbia, Settimo Nizzi, e di Cagliari, Emilio Floris, entrambi di Fi. Non riuscivano proprio ad farsene una ragione del «divieto di realizzare nuove opere soggette a concessione ed autorizzazione edilizia, nonché quello di approvare, sottoscrivere e rinnovare convenzioni di lottizzazione» nei «territori costieri compresi nella fascia entro i 2.000 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare», nei «territori costieri compresi nella fascia entro i 500 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare, per le isole minori» e nei «compendi sabbiosi e dunali». Nell’ottobre 2013 la giunta di centro destra guidata da Ugo Cappellacci era riuscita nell’impresa a lungo inseguita, abrogare il piano di tutela del paesaggio approvato da Soru. «Dimenticatevi Villasimius, le spiagge di Bosa, non ci saranno più Tuerredda, le Bombarde, Costa Paradiso, Cala Giunco perché costruiranno ovunque, come volevano fare prima del piano paesaggistico», aveva detto nell’ottobre 2009 l’ex governatore. Ad applaudirlo anche Dario Franceschini, allora segretario nazionale del Pd. Lo stesso che nel 2014 da Ministro per i beni culturali, pubblicizzava nuovi impianti da golf per il Sud, Sardegna compresa. Impianti che «riusciranno ad attrarre il turismo straniero, che oggi non si riesce ad attirare», affermava Franceschini.
A distanza di undici anni dalla Legge salvacoste Soru la Sardegna rischia di diventare terreno per nuove urbanizzazioni. E questa volta il “nemico” non é la destra guidata da Cappellacci, ma proprio il Pd. Quello del Governatore Pigliaru. Nella confusione «Abbiamo aperto, con cautela, anche le porte allo sviluppo non solo sulle coste, ma anche nelle zone interne», ha spiegato Cristiano Erriu, l’assessore all’urbanistica che ha presentato il ddl. Eccola l’ulteriore novità, quindi. Via libera a nuovi scempi anche nelle aree lontane dalle coste. I “soliti” gruppi immobiliari, quelli che saranno in grado di accaparrarsi gli appalti più importanti, sono in attesa, ma intanto ringraziano dell’occasione. Ma i vantaggi per l’economia e lo sviluppo dell’isola, dei quali parlano Pigliaru, Erriu e altri sono tutti da dimostrare. In compenso appaiono certi i disastri non solo sull’arco costiero. Ne vale davvero la pena?