È stato appena rieletto con il 99 per cento dei voti, riconfermato dopo 17 anni al potere. Nel piccolo Stato africano del Rwanda – l’indipendenza dal Burundi ottenuta nel 1962, 12 milioni di persone in tutto – , Paul Kagame non è solo un presidente, è un uomo onnipotente.
Nessuno ha sgranato gli occhi per la sorpresa, dentro e fuori il Rwanda: la vittoria alle elezioni del presidente era notizia scontata. Non lo era il suo ultimo plebiscito, che ha sfiorato il 100 per cento. Nel 2010 aveva ottenuto il 95 per cento dei voti, nel 2003 il 93. Nel 2017 queste elezioni sono arrivate dopo un emendamento costituzionale approvato dal 98 per cento dei votanti, che ha messo fine al limite di soli due mandati concessi al presidente, che ora può rimanere al potere fino al 2024 e oltre.
Nel Paese dove nel 1994 sono state uccise 800mila persone durante il genocidio, l’ex guerrigliero di 59 anni, tacciato di autoritarismo e di aver creato uno Stato dal partito unico, continua a tenere strette le redini del potere. Allora, come oggi. Kagame il controverso despota, Kagame eroe del popolo, Kagame il presidente incombente e assolutista, Kagame il leader più popolare, dalla capitale Kingali, fino ai confini di uno Stato con l’economia tra le più veloci e più avanzate di tutta l’Africa. Ma non solo il Rwanda in questa calda estate di tornate elettorali, elezioni si terranno presto anche in Angola e in Kenya.
Sostegno all’economia e stabilità economica è quello che Kagame ha ripetuto più spesso negli ultimi mesi. Sotto il suo governo, povertà e morte infantile sono diminuite anche per il programma di investimenti attuato. Le promesse con cui ha battuto i suoi due avversari erano semplici: più sviluppo, più cliniche, più scuole, più strade. Phillippe Mpayimana, il candidato indipendente, ha ottenuto lo 0,72 per cento dei voti. L’unico oppositore di Kagame, Frank Habineza, un ex giornalista, a capo del Partito Verde democratico, ha ottenuto lo 0,45 per cento e ha dichiarato: «Siamo ancora spaventati come fossimo dei nemici, ma fino ad ora nessuno del nostro partito è stato minacciato, ucciso, picchiato o imprigionato, e questo vuol dire almeno che qualche progresso è stato fatto».
Per acclamare la vittoria del nuovo, vecchio presidente la maggioranza della popolazione è scesa in strada sventolando la bandiera a tre colori – rosso, bianco, blu- con le tre lettere stampate sopra: Far, Fronte patriottico del Rwanda. Era il nome della milizia del giovane Paul, durante la guerra tra Hutu e Tutsi, ed ora è il suo partito politico. L’uomo che oggi vuole «assicurare lo sviluppo al popolo» dal palco elettorale, nel 1994 era a capo delle forze ribelli Tutsi. Aveva 36 anni quando condusse la sua milizia armata nella capitale, guidandola in battaglia contro i suprematisti Hutu.
Kagame diventò in seguito, facendo leva sui suoi trascorsi militari, prima ministro della Difesa e poi vicepresidente, assicurandosi nel 2000 la più alta carica del potere. Da allora non l’ha abbandonata un solo giorno e, come molti presidenti d’Africa prima di lui, è probabile che non lo farà mai più.