A partire dall'incendio del Grenfell in Gran Bretagna ci si interroga molto sulla crisi. L'analisi di Paul Mason sul Guardian fornisce una risposta

Il crollo dell’edificio Grenfell a Londra non è stato ancora dimenticato dalla popolazione britannica e ha aperto un dibattito nella società inglese che non si è ancora chiuso. Un dibattito che parla, in fondo, dello scontro di classe. Di precariato, di diritto alla casa, al lavoro. Di geopolitica globale. Come quello dell’edificio, anche questo è un incendio ormai difficile da spegnere.

«La rabbia sta esplodendo ovunque nel mondo e Trump e Putin stanno soffiando sulle fiamme». Lo scrive il giornalista e professore universitario Paul Mason sul The Guardian, analizzando la situazione da un capo all’altro del mondo. Per la classe politica inglese, «nervosa sia per le manifestazioni, che per il marxismo, dalla tragedia dell’edificio Grenfell, la vista di Amburgo in fiamme non è stata rassicurante». Amburgo è stata solo l’ultima manifestazione d’Europa che ci ha ricordato che «la rabbia sta esplodendo in tutte le società occidentali e sta diventando sistemica».

La povertà della classe media. La povertà dei nuovi poveri. La crisi della migrazione. La Brexit e Donald Trump. Gli attacchi terroristici in Germania, Gran Bretagna, Francia. L’ascesa del Front National e lo tsunami di Emmanuel Macron. La débacle di Theresa May: «La storia si sta allontanando dalla stabilità. In un anno, la risposta dei politici e dei banchieri che prendono decisioni sono cambiate: le banche centrali hanno dato inizio a un ciclo di restrizioni, abbassando tassi d’interesse e stampando soldi, quello che ormai tiene il mondo a galla dal 2009». Era stato promesso di trovare un nuovo modello economico per il mondo, «ma non si vede niente all’orizzonte».

«Con l’elezione di Trump, il consenso sulla globalizzazione ha cominciato a disintegrarsi. Questo conduce al secondo grande cambiamento: quello sul commercio. Sin dagli albori, quando si sono incontrati nel 2008, i leader dei G20 dovevano evitare il protezionismo come risposta alla crisi finanziaria. L’esperto commerciale e professore Simon Wevenett ha detto che questo accordo, dall’ultimo summit, è stato violato appena 13 ore dopo è stato concordato, visto che il governo ha favorito 5886 restrizioni commerciali».

La retorica è sempre più forte delle azioni, scrive Mason. Per Trump e Vladimir Putin «c’è un chiaro calcolo: più diventano arrabbiati i loro popoli con Paesi stranieri, con prodotti ed esseri umani di quei Paesi, meno saranno propensi a ribellarsi in patria. Siamo in un punto della politica globale in cui la rabbia può essere guidata solo in due direzioni: verso l’alto, verso le élite, o ai lati, contro le minoranze, nazioni rivali e istituzioni che vogliono difendere la legge».

Quando l’obiettivo è rivolto alla politica interna inglese, con uno sguardo tacito su Corbyn, l’editorialista scrive che «i laburisti hanno paura dei loro stessi membri, i tories dei deputati di secondo piano, i giornalisti del tono malevolo che ha assunto il dibattito su Grenfell. Ho già espresso la mia idea, è importante riconoscere da dove viene la rabbia». Del popolo. Cosa la produce. «Per le persone senza potere economico, la vita di ogni giorno è un lungo atto di coercizione contro di loro. La fila per i benefits, per gli ospedali, le attese per un’operazione chirurgica. Per i lavoratori precari c’è un sistema di multe e demeriti, sovraccarico di lavoro obbligatorio, ai loro datori di lavoro è concesso comportarsi come dei mini Putin, Trump o Orban. Questo è quello che rende meno prevedibile cosa faranno le persone, quando perdono la calma. L’antidoto più forte a questa rabbia è un sistema politico che reagisce velocemente alle ingiustizie». Ci si può lamentare delle Audi bruciate per la furia delle strade durante le proteste del popolo arrabbiato da Amburgo a Parigi, ma bisogna ricordare che «cinque dei più grossi troublemaker del pianeta erano nella foto del G20: Narendra Modi, Putin, Trump, Erdogan, Xi Jinping. Il re saudita mancava, era troppo occupato a tentare di invadere un Paese vicino».