Ci sarà a breve un nuovo presidente, un nuovo Parlamento, un nuovo Kenya: 19 milioni di votanti si stanno recando in quasi 41mila urne in tutto il Paese in queste ore. Spesso, l'elezione di un nuovo capo di governo vuol dire sangue prima, timore del caos dopo: 1300 persone hanno perso la vita e 600mila sono scappate dalle loro case in seguito alle violenze per le elezioni del 2007, dove gli sfidanti avevano accusato il candidato Mwai Kibaki di aver truccato le schede.
Adesso la sfida è tra l’attuale presidente Uhuru Kenyatta, 55 anni, e il suo avversario Raila Odinga, un veterano della politica africana, 72 anni, a capo di una coalizione che tenta di vincere la tornata elettorale presidenziale per la quarta volta. Ma Kenyatta lo ha già battuto cinque anni fa. Se nessuno dei candidati dovesse raggiungere la maggioranza - ovvero oltre il 50% dei voti più uno - si andrebbe al ballottaggio, per la prima volta nella storia del Kenya.
Le promesse di Kenyatta per il futuro del Paese: più di un milione di posti di lavoro, riduzione del costo della vita, soprattutto per quel 47% dei 48 milioni di abitanti che vive in povertà assoluta. Quelle di Odinga, invece, hanno in primo piano la lotta alla corruzione: il Kenya è al 145° posto nella lista dei 176 paesi più corrotti del mondo, secondo Trasparency International. Odinga sta già accusando l'avversario di manipolare le elezioni, è questo «l’unico modo che ha per vincere», ha dichiarato.
Raid armati, uccisioni, proteste sanguinose, fake news: questo, da sempre, ha seguito e preceduto le elezioni a Nairobi e in Kenya non si vince o perde solo in Kenya: la giovane democrazia può influenzare l'economia di tutta la regione adiacente d'Africa. Ma «c’è un ecosistema di fake news, in questa elezione i keniani non sanno quale sia la verità» ha detto Alphonce Shiundu, editor dell'organizzazione Africa Check, che si occupa di falsità giornalistiche nel continente.
Solo pochi giorni fa, Chris Msando, direttore della commissione dell'informazione e comunicazione che vagliava su eventuali brogli, è stato torturato ed ucciso. Il suo corpo mutilato è stato trovato in una foresta. Msando tentava di capire perché c'erano un milione e duecento schede in più rispetto ai votanti registrati. In un'intervista, prima di morire, aveva detto: «la politica tossica che ha portato all'uccisione di luminari della politica come Tom Mboya, JM Kariuki, Pio Gama Pinto e Robert Ouko, come le violenze durante le elezioni nel 1988, 1992, 1997, 2007 e 2013, è ancora tra noi».
Ci sarà a breve un nuovo presidente, un nuovo Parlamento, un nuovo Kenya: 19 milioni di votanti si stanno recando in quasi 41mila urne in tutto il Paese in queste ore. Spesso, l’elezione di un nuovo capo di governo vuol dire sangue prima, timore del caos dopo: 1300 persone hanno perso la vita e 600mila sono scappate dalle loro case in seguito alle violenze per le elezioni del 2007, dove gli sfidanti avevano accusato il candidato Mwai Kibaki di aver truccato le schede.
Adesso la sfida è tra l’attuale presidente Uhuru Kenyatta, 55 anni, e il suo avversario Raila Odinga, un veterano della politica africana, 72 anni, a capo di una coalizione che tenta di vincere la tornata elettorale presidenziale per la quarta volta. Ma Kenyatta lo ha già battuto cinque anni fa. Se nessuno dei candidati dovesse raggiungere la maggioranza – ovvero oltre il 50% dei voti più uno – si andrebbe al ballottaggio, per la prima volta nella storia del Kenya.
Le promesse di Kenyatta per il futuro del Paese: più di un milione di posti di lavoro, riduzione del costo della vita, soprattutto per quel 47% dei 48 milioni di abitanti che vive in povertà assoluta. Quelle di Odinga, invece, hanno in primo piano la lotta alla corruzione: il Kenya è al 145° posto nella lista dei 176 paesi più corrotti del mondo, secondo Trasparency International. Odinga sta già accusando l’avversario di manipolare le elezioni, è questo «l’unico modo che ha per vincere», ha dichiarato.
Raid armati, uccisioni, proteste sanguinose, fake news: questo, da sempre, ha seguito e preceduto le elezioni a Nairobi e in Kenya non si vince o perde solo in Kenya: la giovane democrazia può influenzare l’economia di tutta la regione adiacente d’Africa. Ma «c’è un ecosistema di fake news, in questa elezione i keniani non sanno quale sia la verità» ha detto Alphonce Shiundu, editor dell’organizzazione Africa Check, che si occupa di falsità giornalistiche nel continente.
Solo pochi giorni fa, Chris Msando, direttore della commissione dell’informazione e comunicazione che vagliava su eventuali brogli, è stato torturato ed ucciso. Il suo corpo mutilato è stato trovato in una foresta. Msando tentava di capire perché c’erano un milione e duecento schede in più rispetto ai votanti registrati. In un’intervista, prima di morire, aveva detto: «la politica tossica che ha portato all’uccisione di luminari della politica come Tom Mboya, JM Kariuki, Pio Gama Pinto e Robert Ouko, come le violenze durante le elezioni nel 1988, 1992, 1997, 2007 e 2013, è ancora tra noi».