L'alternativa al festival “istituzionale” compie 70 anni. Il palcoscenico è ovunque: dai castelli alle aule scolastiche, dalle sale convegni alle abitazioni private. Compagnie da tutto il mondo, alcune anche dall'Italia

Ci siamo. Anche quest’anno il “gigante scozzese” si è risvegliato per travolgere chiunque abbia voglia di lasciarsi incuriosire: è l’Edimburgh International Festival (fino al 28 agosto), che nel 2017, pensate un po’, festeggia 70 anni di vita, tondi tondi. Eh sì, ci sono festival che sono davvero grandi, per il numero di artisti coinvolti, per la quantità di pubblico che attraggono, per la macchina organizzativa che riescono a mettere in moto. La città Edimburgo, conosciuta ormai come la Festival City, non si può certo dire che dal 1947 a oggi non ce l’abbia messa tutta pur di garantire un programma di alta qualità, sempre inseguendo la ricerca e la sperimentazione in tutti i campi (teatro, danza, musica ecc..) e spalmando le esibizioni nelle tre settimane di festa che regalano ogni volta alla città un’atmosfera meravigliosamente caotica eppure magica. Attorno all’Edinburgh International Festival ruotano, tra l’altro, altre manifestazioni che negli anni hanno contribuito ad arricchire il calendario di eventi: sono l’Edinburgh Festival Fringe, il Royal Edinburgh Military Tattoo e l’Edinburgh International Book Festival.

Soffermiamoci sul Fringe, che nel frattempo è stato copiato un po’ in tutto il mondo (Italia compresa) ed è diventato il più grande festival delle arti. Che cos’è esattamente? E come mai ha tutto questo successo? Ripassiamo velocemente un po’ di storia: è nato nel 1947 come alternativa al Festival internazionale su iniziativa di otto compagnie scartate dalla rassegna ufficiale; nei primi anni non ha avuto una vera e propria organizzazione ed è stato portato avanti a lungo da studenti e volontari, fino al boom negli anni Ottanta e quindi alla nascita di una società (la Fringe Society). Nelle edizioni più recenti sono state registrate circa 2-3mila esibizioni, un numero incredibile! Le compagnie che presentano i propri lavori provengono un po’ da tutto il mondo e vanno in scena in sale di ogni forma e dimensione. Il Fringe, infatti, utilizza qualunque spazio, dai teatri originali a quelli fatti su misura, dai castelli alle aule, dai centri conferenze alle sale universitarie, perfino i bagni pubblici o la parte posteriore di un taxi, e ovviante le case del pubblico! In genere gli spazi più improvvisati sono quelli che ospitano gli spettacoli del Free Fringe, cioè quelli per i quali non è richiesto un biglietto d’ingresso ma semplicemente una libera offerta (un po’ come per Avignone Off).

Quest’anno sono una dozzina le compagnie italiane presenti al Fringe (in verità pochine rispetto agli altri Paesi), da Daniele Fabbri (con A gentle, Shy Anticrist) a Stefano Patti e Marco Quaglia (con Echoes di Lorenzo Liberato), mentre al Festival internazionale ci saranno Emma Dante con il suo Macbeth prodotto dal Teatro Regio di Torino (presente anche con altri spettacoli) e Riccardo Chailly che dirige la Filarmonica della Scala.
Perché partecipare al Fringe? La prima risposta potrebbe essere: per farsi conoscere. Certo, e sperare (cosa complicatissima in realtà) che gli operatori del settore possano accorgersi di te. Quindi? È davvero un’opportunità? In realtà il Fringe può esserlo per chi sa di avere un progetto molto valido e quindi può utilizzare la presenza al Festival sopratutto per avere un proprio feedback, una specie di verifica che li aiuti a capire se quella intrapresa è la strada giusta. Inutile dire che per il pubblico il Fringe è la più grande festa a cui abbia mai preso parte, quindi maggiore è il numero di compagnie, più ampia (e complicata) è la scelta… Anche se, inutile dirlo, la qualità non è una garanzia. Il Fringe è più che altro una fucina delle idee, un’isola di libertà dove chi vuole può mettere la propria arte a disposizione del pubblico.
Con questo spirito sono nati nel corso del tempo tanti altri Fringe, dal Nord America al Sud Africa, dall’Europa all’Italia. Qui, negli ultimi anni, sono spuntati come funghi, concentrati soprattutto nelle grandi città: Roma, Napoli, Torino, Matera, Milano. Chi li frequenta sa bene che gli spettacoli si rincorrono uno dopo l’altro, in spazi diversi pronti ad accogliere compagnie che difficilmente avrete visto nei grandi teatri o in quelli più ufficiali. È anche come strategia di difesa verso questa pessima abitudine degli Stabili italiani di scambiarsi gli spettacoli tra di loro che nascono i Fringe, spazi sempre in movimento dove la creatività non ha confini né strane regole da rispettare e che molto ci dicono su quale direzione sta prendendo il teatro italiano.