Macelleria messicana. Una carneficina. Peggiore di quella della guerra della droga che raggiunse il suo picco di morti nel 2011. Una scia di sangue che è anche la prova che la narrativa del presidente Enrique Pena Nieto scricchiola – quella secondo cui il Messico migliora, nonostante la violenza. In effetti, dopo i 43 studenti scomparsi nel 2014, il turismo era aumentato e il tasso di omicidi era calato. Ma la pace non è durata a lungo e il marketing presidenziale non ha fermato il crimine. Nieto voleva ripulire l’immagine del Messico, come aveva promesso in campagna elettorale, ma adesso la violenza ha raggiunto anche le oasi del Paese che fino ad ora erano rimaste irraggiungibili, come Baja California Sur.
Con una polizia locale e nazionale debolissima, con la divisione dei grossi cartelli criminali dopo l’arresto dei loro capi storici, e con l’aumento della domanda di droga dagli Stati Uniti, il flusso di denaro e armi che dalle coste statunitensi vanno avanti e indietro dal Messico è in crescita. L’immagine del nuovo Messico che Nieto voleva dare al mondo sta per infrangersi di nuovo. Tutto sta solo peggiorando.
Con una frequenza allarmante e infausta i cartelli della droga fanno sanguinare paesi in ogni regione, anche in quei posti che finora sembravano sicuri. Il cambio del sistema legale, iniziato nel 2008, con l’aiuto di 300 milioni di dollari americani, – un passo importante per il Paese, ma anche per tutto il continente latino -, doveva chiudere finalmente le falle di un sistema giudiziario gruviera. Eppure adesso è proprio il nuovo sistema ad essere additato dagli agenti delle forze dell’ordine come la causa dei nuovi fallimenti negli arresti, per l’impunità dilagante. Una parola e un luogo che spiegano bene quello che sta succedendo in Messico è Tecoman.
Nel 1997 Tecoman era un paese con un paio di omicidi l’anno. Negli ultimi mesi ce ne sono stati più che negli ultimi due decenni. Maggio e giugno appena trascorsi, come in tutto il resto del paese, sono stati più rossi del sangue. Tecoman è diventato il luogo più mortale del Messico e nel suo anno più pericoloso. Era una località tranquilla e silenziosa, per lo più di fattorie, nella regione di Colima. Dall’anno scorso ha il record di omicidi delMessico, con un tasso di uccisioni simile a quello di uno stato di guerra. Le statistiche di quest’anno evidenziano che gli assassinii commessi sono raddoppiati. Tecoman è il simbolo di un Messico che nessuno riesce a salvare, al punto massimo della sua pericolosità: centomila morti, trentamila scomparsi e miliardi di dollari che continuano ad entrare ed uscire dalle casse dei criminali.
Quello che era uno dei posti più sicuri del Messico, dove le persone arrivavano da zone pericolose per nascondersi, lontano dalle lotte delle gang della droga, ne è diventato l’icona negativa. Il sindaco di Tecoman, Jose Guadalupe Garcia Negrete, nato in una famiglia di coltivatori di lime, parla del crimine con le metafore che gli suggerisce una vita passata tra la natura: «Bisogna andare alla radice, questo problema non si risolve potando i rami». Il crimine, dice il sindaco, incapace di contrastare la piaga che marina, militari e polizia militare hanno fallito ad arginare con operazioni speciali dall’inizio del 2017, «è come un cancro. Ma quello che succede qui sta succedendo nell’intero Stato».