Il codice di condotta per le Ong e la missione navale italiana in supporto alla Guardia costiera libica per arginare l'immigrazione verso il nostro Paese: il governo si affida a questa doppia manovra per fermare gli sbarchi. Dimenticandosi - però - dei diritti umani. A ribadirlo a Left, è il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury: «Delle due l’una: o la Libia effettuerà respingimenti coadiuvata dall'Italia, perciò l'Italia sarebbe complice di respingimenti illegittimi, oppure l'Italia potrebbe compiere queste operazioni con le sue navi, passando poi ai libici le persone intercettate, e in quel caso l'Italia sarebbe direttamente responsabile di tali respingimenti». Qualsiasi azione che crei un blocco indiscriminato costituirebbe una grave violazione dei diritti, insomma. «Esatto, senza considerare poi che i centri d’accoglienza libici dove verrebbero condotti i respinti sono in realtà delle prigioni, alcune delle quali informali, magari vecchi capannoni industriali, o alberghi, o addirittura case private. Chiamarli “centri d'accoglienza” è del tutto sbagliato, sono luoghi di detenzione nei quali non c'è alcuna garanzia per l'incolumità fisica delle persone. Sappiamo che avvengono stupri e torture quotidianamente, ci sono prigionieri detenuti in ostaggio fino a quando i familiari non pagano, prigionieri venduti da una banda criminale all'altra. E, se noi contribuiamo a rafforzare questo sistema illegale, ne siamo pienamente complici. Perché questa operazione così aggressiva, quando gli sbarchi sono in diminuzione? Io la vedo così: la missione navale e la campagna di delegittimazione delle Ong sono la parte pubblica di un disegno più ampio. Nella parte pubblica si vuole mostrare al popolo, che fra poco andrà al voto, che si è duri e decisi nei confronti di un “fenomeno ingestibile”, e io immagino che la politica neanche ci creda fino in fondo a questa parte. Poi c’è la parte sostanziale, quella meno visibile e più efficace, a causa della quale le partenze stanno diminuendo, che si svolge a sud della frontiera libica, dove le tribù sono state pagate - non sappiamo quanto perché non c'è trasparenza su questo - per bloccare la frontiera meridionale, e nello stesso tempo la cooperazione sempre più intensa con Niger e Sudan fa sì che il blocco dei migranti venga effettuato quasi nel loro punto di partenza. Tant'è che, per esempio, del milione di rifugiati che ha prodotto il conflitto in Sud Sudan, pochi decine di migliaia sono in Sudan, ma 900.000 e più sono in Uganda, hanno - cioè - preso la direzione opposta. Il punto è che i fondi per la cooperazione spesso sono poco trasparenti; sono fondi destinati in un certo senso allo “sviluppo”, si, ma allo “sviluppo” di regimi dittatoriali. Quale è la sua opinione sul codice di condotta per le Ong? Amnesty International non deve cadere nello stesso errore che hanno fatto coloro che hanno promosso la campagna di demonizzazione delle Ong. Le Ong sono tante. Così come le leggi Ong non sono tutte il male, non è detto che siano tutte il bene. Io le mani sul fuoco ce le metto per quelle che conosco, come Medici Senza Frontiere. Dopodiché, si sta discutendo da giorni sulla differenza tra soccorrere una barca in difficoltà, considerato legittimo, e trasbordare persone da una barca momentaneamente fuori pericolo, considerato sbagliato. In realtà, manca la controprova che lasciare persone su una barca fatta arrivare fin lì dai trafficanti, sebbene sia ancora a galla, sarebbe la scelta migliore. Insomma, non c'è bisogno che vada in avaria la barca per definire come “in pericolo” persone che sono sotto ostaggio di trafficanti in una barca guidata da uno scafista. A volte poi soffermarsi troppo sui cavilli giuridici fa dimenticare la dimensione umana del dramma. Si. Guardando solo alle leggi, se poi si dimostrasse che la missione italiana del punto di vista di diritto internazionale fosse del tutto legittima, saremmo costretti a dare ragione a chi quella missione l’ha sostenuta. Mentre invece il punto è un altro. Il senatore Esposito l’ha esplicitato per bene, affermando “le Ong ideologicamente pensano solo a salvare le vite umane noi non possiamo permettercelo”. Cioè noi, nel senso “le istituzioni italiane”, “il governo italiano”, non se lo possono permettere. Ecco, questa frase illustra bene il crollo etico della politica che stiamo vivendo. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'intervista al portavoce di Amnesty international Italia fa parte della cover story di Left in edicola

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Il codice di condotta per le Ong e la missione navale italiana in supporto alla Guardia costiera libica per arginare l’immigrazione verso il nostro Paese: il governo si affida a questa doppia manovra per fermare gli sbarchi. Dimenticandosi – però – dei diritti umani. A ribadirlo a Left, è il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury: «Delle due l’una: o la Libia effettuerà respingimenti coadiuvata dall’Italia, perciò l’Italia sarebbe complice di respingimenti illegittimi, oppure l’Italia potrebbe compiere queste operazioni con le sue navi, passando poi ai libici le persone intercettate, e in quel caso l’Italia sarebbe direttamente responsabile di tali respingimenti».

Qualsiasi azione che crei un blocco indiscriminato costituirebbe una grave violazione dei diritti, insomma.
«Esatto, senza considerare poi che i centri d’accoglienza libici dove verrebbero condotti i respinti sono in realtà delle prigioni, alcune delle quali informali, magari vecchi capannoni industriali, o alberghi, o addirittura case private. Chiamarli “centri d’accoglienza” è del tutto sbagliato, sono luoghi di detenzione nei quali non c’è alcuna garanzia per l’incolumità fisica delle persone. Sappiamo che avvengono stupri e torture quotidianamente, ci sono prigionieri detenuti in ostaggio fino a quando i familiari non pagano, prigionieri venduti da una banda criminale all’altra. E, se noi contribuiamo a rafforzare questo sistema illegale, ne siamo pienamente complici.

Perché questa operazione così aggressiva, quando gli sbarchi sono in diminuzione?
Io la vedo così: la missione navale e la campagna di delegittimazione delle Ong sono la parte pubblica di un disegno più ampio. Nella parte pubblica si vuole mostrare al popolo, che fra poco andrà al voto, che si è duri e decisi nei confronti di un “fenomeno ingestibile”, e io immagino che la politica neanche ci creda fino in fondo a questa parte. Poi c’è la parte sostanziale, quella meno visibile e più efficace, a causa della quale le partenze stanno diminuendo, che si svolge a sud della frontiera libica, dove le tribù sono state pagate – non sappiamo quanto perché non c’è trasparenza su questo – per bloccare la frontiera meridionale, e nello stesso tempo la cooperazione sempre più intensa con Niger e Sudan fa sì che il blocco dei migranti venga effettuato quasi nel loro punto di partenza. Tant’è che, per esempio, del milione di rifugiati che ha prodotto il conflitto in Sud Sudan, pochi decine di migliaia sono in Sudan, ma 900.000 e più sono in Uganda, hanno – cioè – preso la direzione opposta. Il punto è che i fondi per la cooperazione spesso sono poco trasparenti; sono fondi destinati in un certo senso allo “sviluppo”, si, ma allo “sviluppo” di regimi dittatoriali.

Quale è la sua opinione sul codice di condotta per le Ong?
Amnesty International non deve cadere nello stesso errore che hanno fatto coloro che hanno promosso la campagna di demonizzazione delle Ong. Le Ong sono tante. Così come le leggi Ong non sono tutte il male, non è detto che siano tutte il bene. Io le mani sul fuoco ce le metto per quelle che conosco, come Medici Senza Frontiere. Dopodiché, si sta discutendo da giorni sulla differenza tra soccorrere una barca in difficoltà, considerato legittimo, e trasbordare persone da una barca momentaneamente fuori pericolo, considerato sbagliato. In realtà, manca la controprova che lasciare persone su una barca fatta arrivare fin lì dai trafficanti, sebbene sia ancora a galla, sarebbe la scelta migliore. Insomma, non c’è bisogno che vada in avaria la barca per definire come “in pericolo” persone che sono sotto ostaggio di trafficanti in una barca guidata da uno scafista.

A volte poi soffermarsi troppo sui cavilli giuridici fa dimenticare la dimensione umana del dramma.
Si. Guardando solo alle leggi, se poi si dimostrasse che la missione italiana del punto di vista di diritto internazionale fosse del tutto legittima, saremmo costretti a dare ragione a chi quella missione l’ha sostenuta. Mentre invece il punto è un altro. Il senatore Esposito l’ha esplicitato per bene, affermando “le Ong ideologicamente pensano solo a salvare le vite umane noi non possiamo permettercelo”. Cioè noi, nel senso “le istituzioni italiane”, “il governo italiano”, non se lo possono permettere. Ecco, questa frase illustra bene il crollo etico della politica che stiamo vivendo.

L’intervista al portavoce di Amnesty international Italia fa parte della cover story di Left in edicola


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