Scrittori si raccontano al microfono di Radiolibri. Parlano dei loro lavori e dei loro sogni. Delle loro inquietudini e delle loro letture. Interviste molto off e non paludate. Ecco l’ultimo, toccante incontro di Alessandra Rotolo con Oliviero Beha.
«Sono stato Zorro come difensore civico, sono stato Brontolo alla televisione, dotto non sono mai diventato perché mi hanno sempre censurato dappertutto». Oliviero Beha, con la sua solita e disarmante schiettezza, si descrive così il 9 febbraio 2017 nell’intervista per Radio Libri (qui nella versione integrale). L’incontro negli studi della web radio con il grande giornalista e scrittore, scomparso pochi mesi dopo, il 13 maggio, è avvenuto per l’uscita di Mio nipote nella giungla (Chiarelettere).
Oliviero Beha, nel sottotitolo di Mio nipote nella giungla si legge «tutto ciò che lo attende (nel caso fosse onesto)». Cosa vuol dire onestà, che è la premessa di questo lavoro?
Tutto il libro, sia pure con vari spunti, risponde a questa domanda. Allora, partiamo dal titolo Mio nipote nella giungla. Mio nipote esiste davvero, è il figlio di mia figlia, che adesso ha 21 mesi e la sua presenza, concreta, mi ha fatto, per così dire, girare l’interruttore da un certo punto di vista. La giungla è una banale metafora – lo era anche per Kipling a suo tempo -. Oggi è una giungla esterna, esteriore, quella in cui siamo immersi tutti quanti. Ma la giungla è anche interiore e credo che noi ormai si viva in una giungla da disboscare. E da qui deriva tutto ciò che attende mio nipote, nel caso fosse onesto, perché la prima forma di onestà è l’onestà con se stessi. Quindi la sincerità, la franchezza della libertà all’interno di sé. Tutto ciò poi si traduce nei comportamenti e quindi nel rapporto con la giungla esteriore. Ma io tengo al concetto della giungla interiore come e più che a quello della giungla che conosciamo.
L’onestà quindi come bussola per orientarsi in un ambiente interiore o esteriore che può essere ostile, disorientante?
Uno dovrebbe avere un senso di responsabilità nei confronti se stesso, cercar di capire chi è e poi cercar di capire come sono fatti gli altri e come comportarsi con gli altri. Quindi è quell’onestà che è una cosa particolare, che va rispettata e approfondita. Si può intendere come mancanza di paura, il coraggio di pensare….
A proposito di linguistica e di parole, tra i vari capitoli del libro ce n’è anche uno intitolato “Che fine ha fatto la parola”, ed è il numero 3. Perché è nel podio dei temi principali?
In realtà il podio è una sorta di immediata ricognizione sulle esigenze del bambino. Io mi sono regolato, come ho già detto, sul nipote. Allora la prima cosa importante qual è? La salute: come sta il bambino, ha una linea di febbre ecc. E da lì faccio una digressione sul concetto di salute che non coincide più con quello di sanità. Il secondo era l’alimentazione, e quindi mi sono regolato, giustapponendo la situazione, che ne so, della fame nel mondo con i numeri tragici che conosciamo con questa mania radiotelevisiva di MasterChef, una gigantesca presa per il sedere dell’opinione pubblica. E poi, il bambino cosa fa, oltre a cercare di star bene e a cercare di mangiare? Parla, prova a parlare. Credo che il bambino abbia una curiosità nei confronti della parola che oggi l’adulto non ha più.
Con questo libro fai una ricognizione sul presente, su alcuni dei punti di riferimento della nostra cultura contemporanea, senza omettere anche le cose più difficili. La guerra per esempio, abbinata spesso alla parola fondamentalismo che tu però coniughi non solo nel senso del fondamentalismo islamico ma anche di quello economico e bancario.
Naturalmente anche la terminologia ha la sua importanza e quando si parla di fondamentalismo islamico si dovrebbe sempre far precedere il discorso su tutto l’Islam normale, diciamo, moderato, perché sennò questi vengono “cornuti e mazziati”, cioè diventano vittime del fondamentalismo della loro stessa religione. Cornuti e mazziati nel senso più tremendo del termine. Questo è un libro che in un certo senso fa da cornice a una serie di argomenti: il referendum recente, il problema politico italiano, il problema della politica internazionale – Trump e compagnia bella, per esempio – . Ma non sono alla lettera, io provo a fornire una visione di insieme. E allora, per tornare al fondamentalismo, di solito si dice: il terrorismo non ci deve mettere paura, non ci deve far cambiare la vita, o meglio, di solito viene usato il sintagma “il nostro stile di vita”. Io allora mi sono interrogato nel libro su che cosa fosse l’essenza del nostro “stile di vita”. Sono arrivato a una cosa che chiunque difficilmente può contestare e cioè il fondamentalismo del sistema occidentale che adesso si sta espandendo – anche per esempio in Cina – è il fondamentalismo del denaro. Di quale stile di vita stiamo parlando? Di uno stile di vita che ha come fine ultimo il denaro, che, per carità, è sempre stato decisivo per tanti versi ma è sempre stato considerato, almeno in buona parte, un mezzo. Qui coincidono un mezzo e fine. Quindi (ride) per un’umanità di questo tipo, parlare di stile di vita mi sembra una ennesima presa per i fondelli.
Coraggio di libertà di pensiero, è questo l’asso che vorresti infilare nella manica di tuo nipote?
Nella manica di più nipoti possibili per migliorare loro e per migliorarci tutti. Cartesio diceva che l’unica cosa che nessuno ci può togliere è il potere della mente. Per il momento siamo ancora liberi di pensare: ma noi non sfruttiamo affatto questa libertà. Sembra che la gente, per questioni di tempo, per abitudine, per questioni di opportunità, fatto sta – per il fondamentalismo di cui parlavamo – non pensa, o perlomeno pensa poco, o molto meno di quello che potrebbe. Eppure il pensiero è una cosa straordinaria.