È un giochetto sporco che si ripete ciclicamente: appena qualcuno prova a sottolineare l’intensificarsi del puzzo fascista (che sia sui giornali, nei modi, nelle parole, nei gesti, nei manifesti o nei soliti squallidi editoriali di squallidi editorialisti) questi rispondono invocando la libertà. Peggio: invocando il fascismo e la censura in chi, secondo loro, non lascia “libertà di espressione”.
Giochetto semplice che si svolge solitamente in tre atti.
Primo: negare. “Vedete fascisti dappertutto” scrivono i maleodoranti editorialisti dei soliti giornali. Volete un esempio? Eccolo:
E fa niente che gli esempi degli ultimi giorni siano roba da mettersi le mani nei capelli. Volete un esempio? Eccoli:
Secondo: invocare la libertà d’espressione. Ieri Giuseppe Cruciani su Libero (e dove, altrimenti) si è sperticato in un articolo intitolato “voglia di censura” in cui si ululava “la sinistra vuole denunciare Forza Nuova (ma va?) per un cartellone contro l’invasione ispirato al Ventennio (l’hanno scritto loro, eh). Ma se accettiamo di zittire un partito mettiamo fine alla libertà di opinione”.
E infatti è il terzo atto quello fondamentale: ignorare o fingere di ignorare. La legge 20 giugno 1952, n. 645 (cosiddetta legge Scelba) in materia di apologia del fascismo, sanziona «chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità» di riorganizzazione del disciolto partito fascista, e «chiunque pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche»
Insomma, piaccia a meno a quelli di Libero o a Cruciani, l’apologia di fascismo è un reato in Italia non perché siano fissati gli antifascisti ma perché a essere ossessionata (a ragione) è la nostra Costituzione.
Non solo: l’apologia di fascismo è vietata mentre l’apologia dell’antifascismo è un dovere, mica un consiglio.
Buon lunedì.